Grande festa in Madagascar con l'arrivo di Papa Francesco per la visita pastorale di tre giorni. Dopo Giovanni Paolo II nella primavera del 1989, Bergoglio è il secondo pontefice a calcare la terra malgascia per incontrare la comunità cattolica (un terzo della popolazione, otto milioni su circa 25) e raccogliere le problematiche di uno dei paesi più poveri a dispetto delle enormi risorse naturali non o mal sfruttate del continente africano.
Un avvenimento quindi centrale per la Chiesa locale, un'istituzione robusta e credibile che ha guidato l'opposizione al fallimentare regime comunista del pessimo Didier Ratsikara (1975-1991) e oggi grazie a un'efficiente rete di strutture educative e sanitarie fortemente impegnata nel sociale. L'arrivo di Francesco, accolto da un milione di persone, è altrettanto importante per il neo presidente Andry Rajoelina, il volto «quasi nuovo» della politica isolana. A dispetto della sua giovane età (45 anni), il leader malgascio ha infatti alle sue spalle una storia turbinosa e intricata. Nel marzo del 2009 i militari attuavano un colpo di Stato scacciando dal palazzo presidenziale Marc Ravalomanana, uno spregiudicato e corrottissimo self-made man, e consegnavano il potere all'allora 34enne Andry, ex disk jockey, trasformatosi via via in pubblicitario, imprenditore televisivo poi sindaco della capitale e, dopo la rottura del fidanzamento con l'unica figlia di Ravalomanana, capo dell'opposizione.
Diventato il più giovane capo di Stato dell'Africa, Rajoelina spedì in confortevole esilio in Sud Africa il mancato suocero e annunciò un programma di profonde riforme e un riavvicinamento alla Francia, l'antica potenza coloniale. Tutte buone intenzioni che rimasero però sulla carta a causa della pervicace ostilità della comunità internazionale che lo considerava un golpista, un impresentabile. L'unico che osò riceverlo, tra mille distinguo, fu nel dicembre 2011 il macchiavellico Nicolas Sarkozy.
Nel 2013, dopo lunghe trattative, venne trovato un accordo tra le parti, il destituito presidente poté rientrare nel Paese e furono indette nuove elezioni a cui, come da accordi, Andry non si presentò. Trasferitosi a Parigi nel 2014, iniziò a preparare con cura la sua corsa alle elezioni presidenziali del 19 dicembre 2018, l'ennesima sfida contro l'eterno rivale Ravalomanana a sua volta ricandidatosi. Lo slogan della sua campagna è racchiuso tutto in un acronimo «TGV» ovvero «train a gran vitesse», la politica ad alta velocità. Un paradosso considerati i ritmi sonnacchiosi della società malgascia ma, alla fine, pagante: nelle urne Rajoelina ha raccolto il 55,66% dei voti contro il 44,34 dell'avversario che, dato nuovo e importante, ha accettato il verdetto senza recriminazioni.
Considerati i gravissimi problemi accumulatisi nel turbolento periodo post-coloniale corruzione, insicurezza, epidemie, infrastrutture devastate, mancata autosufficienza alimentare ecc. le aspettative, principalmente tra gli elettori più giovani, sono enormi. Il neo presidente ne è conscio e all'indomani della proclamazione ufficiale ha innalzato a 200 Ariary (circa 50 euro) lo stipendio base e dato avvio a un piano di edilizia popolare ma, soprattutto, ha chiuso definitivamente il capitolo delle nazionalizzazioni (un frutto avvelenato del periodo filo sovietico) e aperto le porte agli investitori stranieri, in primis ai colonizzatori di ieri.
A maggio l'ambizioso Andry, forte della sua nuova legittimità, è volato a Parigi dove ha incontrato Emmanuel Macron; una visita tesa a riannodare i legami economici (la Francia è tutt'oggi il primo partner commerciale) e rafforzare i rapporti culturali sempre improntati sulla francofonia. L'inquilino dell'Eliseo, ben lieto di estendere lo sguardo sull'Oceano Indiano, ha subito sboccato 30 milioni di euro per l'ammodernamento del sistema educativo malgascio e i suoi ministri hanno firmato una serie di importanti contratti. Ma, a differenza di altri leader della «Franceafrique», Rajoelina non è (o non vuole essere) un semplice terminale degli interessi esagonali e ha posto con forza il problema delle iles Èparses, le isole sparse, una manciata d'isolotti disabitati disseminati al largo del Madagascar e inquadrati giuridicamente nelle Terre australi e antartiche francesi. Riprendendo il verdetto favorevole delle Nazioni Unite sulle rivendicazioni di Mauritius sulle isole Chagos, tutt'oggi possedimento britannico, il presidente ha chiesto ufficialmente a uno stupito Macron la restituzione di queste briciole di terra entro il 26 giugno 2020, sessantesimo anniversario dell'indipendenza.
Una mossa abile che unisce toni patriottici a solidi interessi economici: i pescosissimi fondali delle Èparses monopolio esclusivo dell'industria ittica francese celano infatti importanti giacimenti di gas e petrolio. Per Rajoelina la chiave, il volano per far uscire il Paese dal sottosviluppo. Alla fine il marito di Brigitte è stato costretto ad abbozzare e ha annunciato la formazione di una commissione mista aggiungendo «da oggi iniziamo un lavoro comune tra i nostri due paesi per trovare una soluzione di sviluppo comune nella zona economica attuale». Insomma, vi restituiamo (forse) le isolette ma gli idrocarburi restano appannaggio della Total. Andry ha ringraziato e ha invitato il suo illustre omologo alle celebrazioni del fatidico sessantesimo.
Ma oltre a petrolio e gas, pesci e vaniglia, cacao e miniere, spezie e riso, il Madagascar ha un'altra risorsa importante e ancora sotto utilizzata, il turismo eco-sostenibile.
Con le sue foreste pluviali, le sue spiagge, i suoi 29 parchi nazionali, la sua fauna unica l'intera isola potrebbe diventare una delle destinazioni privilegiate di un turismo di qualità. A crederci sono soprattutto gli imprenditori italiani che hanno investito cifre importanti su alcune aree, principalmente sull'isola di Nosy Be dove sorgono i principali resort del Paese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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