Non uccise la sorella, cancellati i 30 anni

Sembrava un caso archiviato: l’assassino, incastrato dal Dna, da una serie di indizi e da un movente, in primo grado prende 30 anni. Poi il ricorso in Appello e il ribaltamento inaspettato: Pasquale Procacci non ha ucciso la sorella Maria Teresa. Assolto e immediatamente scarcerato, le ragioni, nella motivazione attesa nelle prossime settimane. E ora, se la sentenza dovesse reggere anche in Cassazione, il giallo è destinato a riaprirsi per capire chi possa aver ammazzato la ricca vedova.
Sono passati quasi tre anni dalle 19 del 28 aprile del 2009 quando, sotto una pioggia battente, un passante getta lo sguardo all’interno di una Hyundai Accent carta da zucchero ferma in viale Sarca e scorge il corpo senza vita di una donna con addosso biancheria intima, sottoveste e vestaglia. Arriva la polizia, la macchina viene aperta tra mille precauzioni. La vittima risulta uccisa da almeno 12 ore ed è la proprietaria della vettura, Maria Teresa Procacci, 69 anni, residente in via Venini 38/2.
Le indagini si sviluppano sui possibili moventi e sulle analisi tecnico scientifiche. La donna, vedova e senza figli, l’anno prima ha ricevuto da padre un’eredità di una decina di milioni da dividere con il fratello Pasquale di quattro anni più giovane, con il quale i rapporti non sono idilliaci proprio per la gestione del cospicuo patrimonio. Viene individuata una telecamera che ha ripreso la vettura attorno alle 5 del mattino diretta verso viale Sarca: alla guida un uomo, ma il suo volto non è riconoscibile. Si inizia a fare chiarezza. La donna sarebbe stata dunque fatta scendere dalla sua abitazione in vestaglia, evidentemente da qualcuno che conosceva bene, uccisa, il suo corpo caricato in auto e portato in viale Sarca. I cattivi rapporti tra fratelli fanno indirizzare i sospetti su Pasquale ma, al di là di indizi e del movente, manca la prova regina. Nell’ispezionare la macchina viene trovato un guanto di pelle con all’interno il frammento di un guanto di lattice su cui è rimasto sangue della vittima mischiato a quello di un’altra persona. Sicuramente dell’assassino. Ed è quello di Pasquale, che il 16 luglio viene arrestato. L’uomo non si difende né confessa, si chiude in un ostinato mutismo. Anche se nel settembre del 2010, affronterà il processo con il rito abbreviato proclamando la propria innocenza. Il rito alternativo gli evita l’ergastolo ma non i 30 anni di carcere.
La difesa, assunta dallo studio di Gaetano Pecorella e Andrea Fares, ricorre in Appello. Nei giorni scorsi iniziano le udienze e, alla fine del dibattimento, la settimana scorsa il sostituto procuratore generale Piero De Petris chiede la conferma dei 30 anni. I giudici si ritirano in una lunga Camera di consiglio conclusa ieri ribaltando la decisione di primo grado: assoluzione e immediata scarcerazione dell’imputato. Pasquale Procacci ha accolto la sentenza chiuso nella gabbia con un largo, e comprensibile, sorriso: «Farò le mie dimostrazioni» si è limitato a mormorare.

Ora bisognerà attendere le motivazioni della sentenza e l’eventuale ricorso in Cassazione poi, se l’assoluzione venisse confermata, Procacci potrebbe far causa allo Stato per i due anni e nove mesi di ingiusta detenzione. Mentre le indagini dovranno per forza ripartire da zero.

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