Nord e sud del cinema si dividono sul Risorgimento

L’unità d’Italia, dopo la rottura tra Berlusconi e Fini, è una madre turrita nei suoi 150 anni, che pure vorrebbe festeggiare. I figli si menano fra loro, né hanno troppi soldi per una bella festa, come meriterebbe la brava signora, che ne ha viste di tutti i colori. Come non bastasse, dal comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni, si sono sfilati Carlo Azeglio Ciampi (per motivi di salute) e intellettuali leftist (da Dacia Maraini a Ugo Gregoretti) in odor di polemica. Che la questione dei festeggiamenti importi, lo si è visto all’Auditorium della Conciliazione, quando tra i primi temi affrontati dal premier, sul palco, c’era quello delle celebrazioni dell’Unità d’Italia. Intanto, il mondo del cinema non sta a guardare e tira dritto, puntando al 2011. Ma a che punto si trovano Mario Martone e Davide Ferrario, i due registi (non a caso, il primo napoletano e il secondo cremonese), che si sono assunti l’onere di portare, sul grande schermo, una materia ghiotta per storici e studiosi, però indigesta e mal spiegata agli studenti? È ormai in fase di montaggio musicale Noi credevamo, il kolossal (budget: 7 milioni, erogati da Palomar, Rai Cinema, Rai Fiction, Les Films d’Içi, col sostegno della Film Commission Piemonte) del napoletano Martone, che in queste ore sceglie, fior da fiore, i brani musicali più adatti al suo epos. Da musicofilo, il regista dell’Odore del sangue (2004) ha un debole per Giuseppe Verdi, del quale cerca un mix tra il Ballo in maschera (da lui messo in scena a Londra), l’Otello e il Falstaff post-unitario, dove «il cigno di Busseto» esprime la delusione politica, maturata all’ombra degli ideali risorgimentali infranti. Sebbene in questa meglio gioventù ottocentesca, liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Anna Banti (pubblicato da Mondadori nel 1967 e mai ristampato), «il divo» Toni Servillo abbia soltanto cinque pose, nel ruolo di Mazzini (nel cast figurano: Luca Zingaretti starring Francesco Crispi; Luigi Lo Cascio nel ruolo dell’insurrezionalista Domenico, Anna Bonaiuto come contessa Cristina di Belgiojoso e Luca Barbareschi), massima è la sua preoccupazione di non apparire incollato al target del Risorgimento. Il bravo interprete, infatti, recita pure (un minuto e mezzo) in Piazza Garibaldi del cremonese Davide Ferrario, dove leggerà il Ragionamento sulla bella giornata di Raffaele La Capria, aggirandosi nella Napoli d’oggi, ferita dal degrado e lontana dalla Partenope bella, che nei Mille sperava.
Saltato l’appuntamento con Cannes, il kolossal di Martone (sceneggiatore con Giancarlo De Cataldo), concorrerà a Venezia e già si aspettano polemiche al calor bianco, o almeno tricolori. Se i risorgimentalisti duri e puri guardano a Pisacane e alle spigolatrici di Sapri, con quel tanto di eroico, che fu nelle gesta garibaldine, i primonovecentisti insistono per una visione critica, magari un po’ sfatata, di quel periodo (come si portava nei Settanta di Allonsanfàn e di San Michele aveva un gallo dei Taviani). «Mi piace la stoffa di questi cospiratori. Il potere è cura d’un giardino, ma anche coraggio di tagliare rami secchi. Il cinema è appiattito su schemi, considerati vincenti, ma io ho difeso il mio giardino da tante tempeste», nota Martone, al lavoro sul suo film dal 2003. Rievocare il passato è sfida ambiziosa, ma c’è chi, come Davide Ferrario, conta soltanto su 700mila euro e sull’idea di realizzare un docufilm oggettivo, quale vuol essere Piazza Garibaldi, alla seconda settimana di riprese.

Prodotto dalla Rossofuoco di Ferrario, qui sceneggiatore con Giorgio Mastrorocco; ispirato a un’idea di Marco Belpoliti, Piazza Garibaldi, road-movie sulle tracce dei Mille, pare Davide contro Golia. In puro spirito risorgimentale: qui si fa il film, o si muore.

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