Dalla nostra non inviata

Il Corriere della Sera non manca di aggiornarci su tutti i risvolti giudiziari che possano riguardare Maria Grazia Cutuli, la giornalista assassinata in Afghanistan il 19 novembre 2001 assieme ad altri tre reporter. Fanno bene, in via Solferino: tenere ben saldo il bandolo della giustizia ordinaria, senza lasciarlo stemperare nell’oblio, è un’impresa desueta in un Paese che è abituato a privilegiare un genere retorico e memorialistico di cui Maria Grazia Cutuli, conoscendola, avrebbe probabilmente riso. Un solo favore si potrebbe chiedere a via Solferino: smettano di chiamarla «l’inviata del Corriere della Sera», perché non lo era. Non è pignoleria o formalismo: Maria Grazia Cutuli era una redattrice ordinaria, e a fine agosto 2001, inviata da nessuno, partì per Israele per interesse personale e delusione sentimentale, a dirla tutta. Poi ci fu l’11 settembre e Maria Grazia continuò a inviarsi da sola come aveva fatto altre volte, giungendo sino in Afghanistan.

Fior di inviati del Corriere, di quelli con la scrivania sempre impolverata e che è burocraticamente assai complicato allertare e appunto inviare, restarono a casa. Loro erano inviati, Maria Grazia lo faceva. Fa parte della sua storia.

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