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"Il nostro patrimonio va difeso da eccessi di cantanti e registi Inclusi quelli italiani"

A Milano, l'Academy del Maestro Riccardo Muti: "L'Opera è medicina per lo spirito"

"Il nostro patrimonio va difeso da eccessi di cantanti e registi Inclusi quelli italiani"
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In questi giorni fino al 30 novembre alla Fondazione Prada di Milano si consuma un lusso culturale. Musicisti e appassionati da tutto il mondo si confrontano con il mistero di Don Giovanni di MozartDa Ponte, una delle opere più enigmatiche mai scritte. A guidarli è il direttore d'orchestra Riccardo Muti (1941), alla testa dell'Italian Opera Academy, cofondata nel 2015 col figlio Domenico: due settimane di lezioni e prove con l'Orchestra Cherubini, nove aspiranti direttori d'orchestra, maestri collaboratori e cantanti, per un totale di 40 ore. Tutto esaurito. Del resto, immaginate Jannik Sinner, Lewis Hamilton o Lionel Messi che vi svelano i segreti del loro mestiere: qui accade lo stesso. Accade da quando l'Academy nacque a Ravenna, da allora Muti e i suoi ragazzi hanno passato ai raggi X ben 17 titoli.

Mezzo secolo alla guida delle più importanti orchestre e teatri, 24 lauree honoris causa. Glorie, onori. Perché l'Academy?

"Per insegnare come si costruisce un'opera del repertorio italiano: che non è secondo a nessuno".

Perché questa insistenza sul repertorio italiano?

"È un patrimonio che va difeso. Dai miei maestri ho ricevuto insegnamenti estetici, ma anche etici. Girando il mondo ho visto quanto l'opera italiana sia maltrattata. Ed ora alla licenza dei cantanti si è aggiunta la presunzione dell'autorità, non autorevolezza, dei registi. Noi italiani dovremmo esserne i custodi, e invece siamo i primi peccatori".

La parola chiave è rigore.

"Ci vantiamo del canto italiano come patrimonio UNESCO, ma poi celebriamo dieci tenori in fila che fanno l'acuto. Patrimonio dell'umanità sono Otello, La Traviata, Norma: eseguiti con rispetto della parola, del ritmo, del colore. L'opera è medicina per lo spirito, non uno spettacolo vocale".

E c'è chi propone opere accorciate per assecondare la ridotta capacità di concentrazione di oggi.

"Ci stiamo impigrendo, vogliamo tutto subito. Ma l'opera chiede impegno. Ancora oggi si ricorda il trionfo, negli anni Cinquanta, del Ring di Furtwängler alla Scala. Non c'erano i sottotitoli. La gente prima si studiava l'opera".

Si lavora al nuovo Codice dello Spettacolo. Da dove partire?

"Dalla radice, i conservatori. Il livello tecnico dei giovani è alto, ma la cultura musicale attorno alla tecnica è collassata. Quando studiavo a Milano l'insegnante di letteratura poetica e drammatica si chiamava Salvatore Quasimodo. Allora, che cosa è cambiato? Servono più musica da camera, ampliamento del repertorio, cultura generale."

E fuori dai Conservatori?

"La musica va insegnata dall'asilo, bisogna educare i bambini a muoversi nella foresta dei suoni. Serve un piano serio e apolitico, con musicisti, musicologi e pedagogisti seduti insieme, non proposte isolate di un deputato. Oggi è un sacco pieno di buchi: ne rattoppi uno e se ne apre un altro. Così non si arriva a niente, serve un ribaltamento del sistema".

Eppur si muove. Nell'Italia dei miracoli continuano a fiorire talenti.

"I talenti ci sono, ma sono dispersi in mille direzioni. E spesso tentano la strada della musica sapendo perfettamente che il futuro lavorativo non è garantito".

Oltre 70 Conservatori, migliaia di diplomati ogni anno. Troppi per un mercato che non li assorbe?

"Se ci fosse un serio insegnamento musicale nelle scuole, dall'asilo, avrebbero uno sbocco naturale. Invece molti finiscono per appendere lo strumento al muro. Letteralmente. È accaduto anche ad alcuni della Cherubini".

L'Oriente batte l'Europa: 1 a 0. Cinesi, Giapponesi, Coreani vincono i concorsi musicali, dominano le classifiche discografiche. Cosa succede?

"L'Europa si è seduta sugli allori degli antenati. La Cina costruisce sale, teatri, conservatori a ritmo impressionante. Lì si è capito che per conquistare un popolo devi prima entrare nella sua cultura. Anni fa, a New York, il pianista Lang Lang mi presentò un ragazzino talentuosissimo dicendo Di bambini così ne abbiamo migliaia".

Stesso copione in Giappone e Corea.

"Per l'Academy di Tokyo mi hanno messo a disposizione un'orchestra con i migliori musicisti giapponesi. Strumentalmente straordinari, avidi di sapere. Prima delle prove suonano e risuonano. Hanno fame".

Quella fame Muti la conosce bene: lo accompagna dai tempi della giovinezza, lui che "ha avuto tutto dal mio Paese e dal mondo".

Da vent'anni è impegnato a trasmettere il fuoco della Musica, quello che solo chi lo vive davvero sa riconoscere e apprezzare. È un lascito generoso, lo dovrebbero ammettere anche i detrattori più ostinati. Fermo restando che quando un uomo prospera, l'invidia fiorisce: soprattutto in Italia (ne sa qualcosa anche Sinner).

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