Il notaio che ha scoperto il business della salute

Nel ’96 si ritira dalla professione per diventare azionista unico della casa di cura. Sui rimborsi dello Stato ha costruito un impero immobiliare

da Milano

«Conosco Pipitone da quasi quarant’anni e posso dire che di medicina non ha mai capito un tubo di nulla. Ma ha sempre capito molto bene come si fa a fare i soldi». A parlare è uno che invece di medicina se ne intende: Gaetano Azzolina, uno dei pionieri della moderna chirurgia italiana. Le storie di Francesco Paolo Pipitone e Azzolina - entrambi siciliani, entrambi trapiantati a Milano - si incrociano proprio intorno alla Santa Rita. Quando, tra gli anni Settanta e Ottanta, Pipitone mette gli occhi su una malconcia clinica privata che sta andando all’asta dei fallimenti, il progetto originario è di metterla in mano ad Azzolina. Poi i due litigano, Azzolina va per la sua strada: e Pipitone imbocca la rampa che lo porterà a diventare uno dei notabili della sanità milanese, per poi precipitare - è storia di questi giorni - nel gorgo dell’inchiesta per truffa. E ritrovarsi agli arresti domiciliari nella sua bella casa di via Archimede, a quattro passi dal palazzo di giustizia.
Si fa chiamare Notaio, e notaio lo è stato veramente: fino al 1996, quando - come rende noto ieri un comunicato del Consiglio Notarile di Milano e provincia - «si è ritirato volontariamente dall’esercizio della professione», caso più unico che raro di abdicazione da uno status ambito e remunerativo. Ma nel 1996, quando si cancella dall’albo, Pipitone ha già spiccato il volo verso livelli ben più alti. Non si è limitato a capire che la sanità può essere un bel businness. Ha capito che nei tanti rivoli della spesa pubblica, nelle lacune dei controlli, nelle compiacenze degli amici, c’è spazio per arricchirsi in proprio.
Nel 2005 Pipitone - che nel frattempo ha piantato la vecchia moglie e ha impalmato una fanciulla conosciuta in clinica - dichiara al fisco un reddito ufficiale di 410.908 euro. In realtà, governa un fiume di denaro assai più consistente. Forse due dipendenti della Santa Rita esagerano quando - in una conversazione intercettata dalla Finanza - dicono che «parliamoci chiaro quando un intervento vien pagato 8.000 euro e noi ne prendiamo 700 gli altri 7.300 se li intasca il Pipitone». Ma di sicuro - forte del fatto di essere l’unico azionista - il Notaio sposta con disinvoltura i quattrini dai conti della clinica a quelli suoi personali. Un contabile «pentito», per esempio, racconta di 800mila euro prelevati dalle casse della Santa Rita e girati su un conto di Pipitone come rimborso di un «prestito obbligazionario» mai accaduto. E anche il piccolo impero immobiliare del Notaio - un intero palazzo nella costosa via Pietro Calvi, altri due immobili vicino alla Stazione Centrale - viene alimentato dai fondi della Santa Rita. D’altronde la clinica è una sua creatura, ne fa quel che vuole e la governa come un monarca assoluto. Altra intercettazione: «oggi Pipitone ha licenziato un altro bravo dei nostri, perché gli ha detto che aveva il contratto scaduto e quindi... E se voleva glielo rifaceva con un compenso più basso». Forse è per questa concretezza spregiudicata che va d’accordo con il dottor Pierpaolo Brega, il primario rampante di chirurgia toracica. Ogni volta che Brega gonfia un rimborso, il direttore generale Sampietro gli manda una mail di dissenso. Brega va a lamentarsi con Pipitone. «Non si può chiudere un occhio?», chiede il Notaio a Sampietro. No, non si può. E va a finire che Sampietro, dopo vent’anni di servizio in Santa Rita, viene cacciato su due piedi.
Brega, invece, resta al suo posto, sempre più arrogante e potente. Almeno fino alla vigilia del tracollo, quando Pipitone capisce che il castello gli sta crollando addosso e licenzia il primario nella speranza di salvare se stesso e la clinica. Ma ormai è troppo tardi.

Ora i due, il Notaio con la passione dei soldi e il medico dal bisturi facile, si ritrovano insieme nel pantano. É c’è chi giura che saranno loro due, alla fine, a giocarsi la partita cruciale per decidere chi debba ritrovarsi col cerino in mano, in questa cupa storia di sangue e di quattrini.

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