La trasferta era della categoria: gradevole. I pavesini rappresentavano il souvenir del viaggio verso l'Alcarotti, già stadio Littorio. Il luogo di ricreazione dei tifosi e di lavoro per il Novara calcio era stato un campo di concentramento. Nel Quarantacinque un migliaio di civili e militari repubblichini qui furono tenuti e rinchiusi, un centinaio di essi poi trasferiti al manicomio di Vercelli ed eliminati. Tanto per dire che oltre alla leggenda e alla nostalgia ci sono cose che non andrebbero dimenticate. Novara, allora, i biscotti del sciur Mario Pavesi, la cupola di San Gaudenzio e l'odore di olio canforato che usciva dallo spogliatoio dell'Alcarotti. Era lì che "Nuciu" Carlo Parola appariva dopo la partita, fumando la sua Gauloise (lo chiamavamo Charlie Gauloise per l'appunto): il suo Novara aveva vinto, pareggiato o perso, e lui, con quella voce arrugginita domandava : «L'on ca la fait la Juve?», che ha fatto la Juventus? Oggi sarebbe oggetto di critica, di assalto, con richiesta di chiarimenti, scuse ed eventuali dimissioni. Ma il folber, il calcio di allora, nei favolosi anni Settanta dico, aveva nubi tossiche diverse da quelle contemporanee.
Novara non stava nel blu dipinto di blu, nonostante il colore delle sue casacche, il presidente Tarantola era un tipo spiccio, dopo Parola avrebbe assunto Gianni Seghedoni e il Bruno, il Giorgis, gente di calcio vero, palla lunga e pedalare, come quell'Udovicich che è diventato, a insaputa sua, un mito dei collezionisti, perché la figurina Panini (l'album sulla cui copertina da sempre ci sta l'ìmmagine del Nuciu Parola di cui sopra in acrobatica rovesciata), la figurina, dunque, era introvabile in mezzo a molte «celò, doppia e tripla». Udovicich Giovanni usava le gambe come un contadino la falce, qualunque cosa gli passasse davanti, di fianco, sopra e sotto, sapeva come reagire. Metteva inquietudine per via della pelata, al tempo non di moda ma quasi un segno di rispetto per l'età, e per il fisico massiccio, insomma un tipaccio d'area, indispensabile tuttavia, necessario, essenziale per tenere chiusa la terza linea dove crescevano un paio di sbarbati, dico Franco Carrera, giovanissimo e soprattutto il bel Renè Zaccarelli sul quale Parola così si pronunciò: «Questo qui sarà un grande». C'erano anche il Klaus Bachlechner che comportò, quando passò all'Inter, problemi di pronunzia al caro Gianca Beltrami che così lo chiamava: «Blecknacher»; c'era anche Gino Luigi Delneri, sì, proprio lui, e Felice Pulici che andrà poi a vincere uno scudetto da portiere della Lazio e che oggi è impegnato nel sociale aiutando i disabili nellattività sportiva.
Erano i favolosi anni Settanta, la serie B era una cosa bella, dopo l'epoca dorata di Silvio Piola che a Novara non arrivò proprio neonato ma ad anni trentaquattro, comunque segnando la storia propria, della squadra, direi della città. Per la cronaca, invece, segnalo l'apparizione di Brunetto Pesaola che mezzo acciaccato, da infortunio, venne spedito al miracolo di San Gaudenzio per un campionato (anno Cinquanta), fu colpito dalla luce dell'amore, conobbe e sposò Ornella Olivieri, miss Novara, ed emigrò a Napoli dove ha trascorso la parte migliore della sua carriera di calciatore e della sua vita di fumatore e giocatore d'azzardo.
Memorie veloci, raccolte tra un pavesino e l'altro, mentre oggi l'Alcarotti ha assunto il cognome di Patti, in omaggio al calciatore e allenatore del Novara calcio che fu, e lo stadio nuovo, ultramoderno ha il prato sintetico.
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