Roma

Nove poliziotti rinviati a giudizio

Ci sono anche nove poliziotti tra le venticinque persone rinviate a giudizio al termine di una maxi-inchiesta con la quale la Procura ritiene di avere sgominato un «gruppo» che, con la complicità di esponenti della criminalità, tra il 2000 e l’aprile dello scorso anno, fecero rapine mediante perquisizioni illegali, falsi in atti pubblici, estorsioni, violazione delle leggi sugli stupefacenti e armi, ricettazione e riciclaggio. Ad alcuni degli imputati i pm Giancarlo Capaldo e Giovanni Bombardieri contestano anche l’associazione per delinquere.
Lo ha deciso il gup Luisanna Figliolia al termine di una lunga udienza nel corso della quale altri sei imputati (di cui tre poliziotti) hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato, mentre ulteriori sei (di cui tre poliziotti e un vicequestore) hanno chiesto di poter patteggiare pene varianti da un anno e dieci mesi di reclusione a quattro anni e mezzo di carcere. Altri due posizioni processuali sono state stralciate, dopo che il gup ha dichiarato la propria incompatibilità a decidere, e saranno affidate a un altro giudice. Per i venticinque è stato fissato al prossimo 18 luglio l’inizio del processo davanti alla quarta sezione collegiale del Tribunale.
Secondo l’accusa il gruppo di poliziotti, gran parte dei quali in servizio al Commissariato di Trastevere, aiutati da alcuni complici, si è preso gioco di alcuni malavitosi locali rapinandoli di denaro e droga. La «banda» entrava in azione con la parola d’ordine «andiamo a pescare» e agiva grazie alle segnalazioni di uno dei complici che, fingendosi commissario, disponeva le perquisizioni e le conseguenti rapine, sotto la minaccia di arresto. A porre fine alla loro attività è stata un’indagine condotta dalla Procura e dalla Guardia di Finanza, che nell’aprile dello scorso anno portò a una serie di arresti. A finire in manette furono, tra gli altri, alcuni poliziotti, loro complici, tra cui uno che si spacciava per il commissario capo Antonio Contini e spacciatori di droga che si occupavano dello smercio degli stupefacenti. Da quanto accertato dagli investigatori, gli agenti operavano in maniera mirata: una volta che il finto commissario segnalava la vittima, scattava la perquisizione.

I poliziotti si recavano nell’abitazione della persona segnalata e, dietro minaccia di arresto, si facevano consegnare droga (in particolare cocaina) o valuta straniera posseduta (dinari iracheni, pesos argentini fuori corso e won nordcoreani).

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