Paolo, da buona napoletano, trova anche le forza di riderci sopra «Per forza, questa è la farmacia numero 17, cosa ci si può aspettare?». Già, cosa ci si può aspettare se non essere rapinati almeno una volta al mese. E avere anche il privilegio, caso unico a Milano, di veder concludere un assalto persino con il sequestro di persona: il commesso caricato in macchina, portato in aperta campagna, spogliato e chiuso nel bagagliaio.
Viale Ungheria 4, estrema periferia sud ovest. Una farmacia, per di più comunale quindi con dipendenti e non titolari, in quel punto è come dire «mangiami», basta entrarci prendere i soldi e via, non ti acchiappa più nessuno. Così quasi tutta la piccola criminalità milanese l’ha presa per il suo personalissimo bancomat. Come martedì 13 maggio. Sono le 12.20, Paolo, farmacista di 30 anni, è dietro il banco della «comunale» dove lavora da un mese e mezzo. Entra un uomo sui 40 anni, brizzolato, barba incolta, ma non particolarmente trasandato. Estrae la pistola e mormora il classico «questa è una rapina». Il dottore si allontana dalla cassa, il bandito allunga le mani, arraffa qualche centinaio di euro e scappa. E con questa fanno 9 rapine in 9 mesi. Per la precisione: due colpi a settembre, il 2 e il 24, due a ottobre,l’11 e il 23, uno a novembre, il 13, due a dicembre, il 6 e il 29, e una a gennaio, l’11. Poi quattro mesi di calma infine l’ultimo colpo.
Paura Paolo?
«Mica tanto, come detto sono di Napoli, queste cose nella mia città sono all’ordine del giorno. Per me poi questa è la prima in questa farmacia, anche se sono stato rapinato già nell’altro punto vendita comunale in cui avevo lavorato, in via Ettore Ponti. La vera veterana è la commessa. Lei è qui da autunno e le altre otto rapine se l’è sciroppate tutte».
La signora non vuole dire nome ed età «sa io ci devo lavorare qui» ma quando parla è un fiume in piena. «Il 13 maggio ero dietro a sistemare i registri, me ne sono accorta solo quando è andato via. Ma le altre... non me ne sono persa una, ormai non passa settimana che non veniamo visitati. Soprattutto d’inverno quando è buio presto».
E lei signora paura?
«Be’ sì, soprattutto dopo quel periodo di colpi a raffica. Ci pensavo continuamente, anche quando ero a casa. Poi c’è stata quella sorta di tregua tra gennaio e l’altro giorno e mi ero un po’ tranquillizzata».
Ma cosa ha in mente una persona in prima linea come lei, come affronta la giornata, cosa pensa?
«Pensarci prima no, altrimenti non vorrei nemmeno a lavorare. Certo quando sono dentro ci penso, un’occhiata a tutti i clienti che entrano per capire quale potrebbe il bandito».
E cosa la mette in allarme?
«Be’ quei classici “accessori” da rapinatore. Sobbalzo sempre se entra un uomo con gli occhiali da sole o il cappellino calato sul viso, due trucchi abbastanza frequenti per camuffarsi senza dare troppo nell’occhio. Se poi vedo un casco, addio, è fatta, questo adesso tira fuori un coltello o una pistola».
Violenze mai subite?
«No, per quello i malviventi sono abbastanza “tranquilli”, solo una volta uno ha sferrato un pugno al computer perché non c’erano abbastanza soldi in cassa. Mica come quello che è successo nel 2005 a un mio collega».
Già, era il 3 ottobre, un lunedì, due banditi entrano verso le 20, immobilizzano farmacista e commesso, li minacciano e li costringono a consegnare i 4mila euro incassati nel fine settimana, i loro portafogli e i cellulari.
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