Da sabato prossimo con "il Giornale" i libri dei maggiori storici dedicati al XX secolo
Qualche anno fa assistetti a una conferenza dello storico americano Charles S. Maier, dell’Università di Harvard, autore fra l’altro dell’importante saggio Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania dell’Est (il Mulino), che concluderà la serie della «Biblioteca storica del Novecento» pubblicata dal Giornale. Maier si chiedeva quanto sia accettabile la convinzione, diffusa tra i colti e gli incolti, che il XX secolo sia stato il peggiore della storia umana. Conti alla mano, lo storico dimostrava che – nonostante le due guerre mondiali – il secolo non è stato il più sanguinoso, sulla percentuale della popolazione. E che tante crudeltà sono state compensate dai progressi della medicina, della scienza, della tecnologia. Quello che davvero ci fa più orrore del Novecento è la propensione a uccidere per ragioni ideologiche e, afferma Maier, «la rinuncia deliberata alle conquiste umanitarie del passato, la riscoperta di impulsi omicidi che volevamo credere di avere lasciato alle nostre spalle».
In Europa e nei Paesi ricchi è stata drammatica e mortale soprattutto la prima metà del secolo, mentre nel resto del mondo lo è stata particolarmente, per fame o per guerre, la seconda: è una conseguenza del neocolonialismo, che trasferisce nel Terzo Mondo i propri conflitti, e accentua la disuguaglianza proprio nell’epoca della globalizzazione. In conclusione Maier affermava: «Non so dire se il XX secolo sia stato il peggiore di tutti». Personalmente sono più ottimista e lo nego: specialmente per chi è nato in occidente nella seconda metà del secolo, ovvero per la maggior parte di noi. Ma a me, in questa pagina, tocca proprio il compito di illustrare la prima metà del secolo, e i relativi volumi scelti per la «Biblioteca storica del Novecento».
Prima osservazione. È desiderio comune che la storia sia «obiettiva»: i lettori di qualsiasi quotidiano possono non amare che il loro giornale prenda in troppa considerazione anche le ragioni della controparte politica, ma vogliono l’opposto per quel che riguarda il passato, pena la non credibilità. Detto fra noi, l’obiettività assoluta non esiste: ogni storico porta nel suo lavoro la propria formazione, la propria sensibilità, il proprio pensiero. Esistono, però, gli storici onesti, cioè quelli che rispettano le fonti senza piegarle alle proprie idee.
In una biblioteca come si deve è dunque indispensabile rispettare ogni tendenza di pensiero, e così ha fatto il Giornale. Accanto alla fondamentale Intervista sul fascismo di Renzo De Felice (Laterza), troviamo un testo del suo acre avversario Nicola Tranfaglia, autore insieme a Maurisio Ridolfi di 1946, la nascita della Repubblica, sempre Laterza. Ci sono diverse opere di autori e editori non certo di sinistra, come Brunella Dalla Casa, Attentato al duce. Le molte storie del caso Zamboni; Petra Terhoeven, Oro alla patria. Donne, guerra e propaganda nella giornata della fede fascista; Joanna Burke, La seconda guerra mondiale, tutti editi dal Mulino oltre che tutti scritti da donne.
Singolare è infatti la presenza femminile nella collana, a testimoniare una sempre maggiore importanza delle storiche: i primi due tomi (Sei mesi che cambiarono il mondo, sui trattati di pace del 1919, sono di Margaret MacMillan, Mondadori); seguono Giulia Albanese, La marcia su Roma (Mondadori), Elena Dundovich e Francesca Gori, Italiani nei lager di Stalin (Laterza), per non dire dei due saggi di Marta Boneschi riguardanti usi e costumi degli anni Cinquanta e le abitudini sessuali degli italiani nella seconda metà del secolo.
La storiografia moderna, soprattutto per effetto della scuola francese degli Annales, ha un’attenzione particolare verso i fenomeni sociali, la «storia materiale», i costumi: una tendenza ben rappresentata dai due saggi di Romano Bracalini, entrambi editi da Mondadori, Otto milioni di biciclette (che racconta la vita quotidiana degli italiani durante il ventennio fascista) e Paisà, sulla vita quotidiana nell’Italia liberata dagli Alleati.
Il regime fascista fu tutt’altro che una parentesi nella storia d’Italia, come ebbe a definirlo Benedetto Croce. Fu invece la conseguenza di mali secolari: in parte risolti, con la creazione di un’identità e di una coscienza nazionale, le grandi opere che oggi definiremmo «infrastrutturali», l’immensa riorganizzazione sanitaria e sociale; in parte aggravati dall’arresto della crescita democratica e dalla politica estera aggressiva (guerra d’Etiopia, guerra di Spagna) nonché dalla progressiva invadenza del regime nelle vite dei cittadini, nel tentativo assurdo di trasformare a passo di corsa il carattere italiano, mite e fortemente individualista, per farne un popolo guerriero e dedito al culto dello Stato. Oltre ai volumi sul ventennio già citati, spicca un testo di grande successo, Le guerre del duce (Mondadori), dell’inglese Denis Mack Smith.
La Seconda guerra mondiale, benché in Italia abbia provocato un numero di morti di gran lunga inferiore alla prima (250mila contro 600mila) portò con sé la sconfitta e una guerra civile i cui segni pesano ancora sulla coscienza nazionale, anche perché in seguito si è tentato di negare che il fascismo avesse il consenso della maggior parte degli italiani.
Sono diversi, e tutti interessanti, i saggi sugli anni di lotta fratricida 1943-45: Aurelio Lepre, La storia della repubblica di Mussolini (Mondadori), Andrea Riccardi, L’inverno più lungo (Laterza), che tratta il problema spinoso di Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Gian Enrico Rusconi, Cefalonia, dal significativo sottotitolo Quando gli italiani si battono (Einaudi), il celeberrimo saggio di Giampaolo Pansa sulla Resistenza La grande bugia (Sperling&Kupfer) e quello di Raffaello Uboldi sul 25 aprile 1945.
I giorni dell’odio e della libertà (Mondadori). Non mancano naturalmente saggi sulla Germania, sulla guerra russa e giapponese, su quella degli Alleati, sui prigionieri italiani di Russia e sui profughi istriani. Ma il mio spazio è finito. Buona lettura a voi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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