Le nozze con la Borsa di Londra? Peggio di Madoff

Il crac di un Paese come l’Islanda? La truffa di un imbroglione come Madoff? Il tracollo di una società come Italease? C’è qualcosa che nel 2008 al sistema bancario italiano è costato molto, molto di più: sono le svalutazioni relative alla vendita della Borsa italiana a quella di Londra. Si tratta di perdite di 674 milioni per le prime cinque banche (Unicredit in testa con quasi la metà, 308 milioni; seguono Intesa Sanpaolo, Banco popolare, Ubi, Mps). Uno scandalo: perché non si tratta di una truffa subita, ma di un pessimo affare confezionato «in casa». Un patrimonio secolare gettato al vento: eppure qualcuno, all’epoca, si era accorto che il London stock exchange, prima di incorporare Piazza Affari, aveva un patrimonio negativo. Non si tratta di accuse, ma di constatazioni che si evincono leggendo le tabelle elaborate dall’austero ufficio studi di Mediobanca, di affidabilità fuori discussione, a corredo dell’indagine R&S 2009. Solo il crac di Lehman Brothers ha superato di un soffio, 682 milioni, l’«affaire» Lse.
Un lungo capitolo di R&S è dedicato alle banche, il cui mondo riflette, in qualche modo, l’andamento dell’economia reale: quest’ultima tra il 2007 e il 2008 ha tenuto dignitosamente, con un aumento complessivo del fatturato del 13%, margini netti positivi per il 2,4%, ma con un risultato netto in calo del 10,9%. Anche in un anno difficile come il 2008, il sistema industriale italiano (meglio le aziende pubbliche di quelle private, meglio l’energia della manifattura) si è difeso. Più tormentato appare il 2009, che nel primo trimestre ha registrato solo numeri negativi: fatturato -11,5%, margine netto -27,7%, risultato corrente -35,9%, risultato netto -32,5%. Scorporando le aziende pubbliche da quelle private, il risultato netto di queste ultime segna meno 60,9%.
E le banche? Nel 2008 hanno registrato ricavi operativi inferiori del 3,9%, un crollo del risultato dell’attività di negoziazione (da +1,08 miliardi a - 5,3), un risultato netto inferiore del 57,3%. Nel primo trimestre 2009 i primi cinque gruppi bancari hanno registrato un calo dei ricavi del 3,7%, sono riusciti a contenere i costi per il 7,5%, ma hanno dovuto registrare un’esplosione delle perdite su crediti (+124,9%), che indicano la difficoltà in cui si trovano le controparti-imprese; il risultato corrente del primo trimestre è pesante, -34,8%, il risultato netto -40,3%. R&S di Mediobanca si è lanciata in un esercizio molto coraggioso: ha proiettato l’andamento del primo trimestre sull’intero esercizio. Ebbene, se non ci fossero scostamenti positivi di rilievo, il risultato corrente passerebbe dai +9,9 miliardi del 2008 a una perdita di 69 milioni, e il risultato netto da +7,2 miliardi a un umiliante «nc», non calcolabile.


Pericolosamente in crescita anche lo stock di crediti deteriorati delle prime sei banche (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca MPS, Banco Popolaree, Ubi, Mediobanca) salito al 31 marzo a 50,1 miliardi rispetto ai 44,8 del 31 dicembre: si tratta del 32,5% sul capitale netto. In altre parole, se tali poste dovessero rivelarsi tutte non esigibili, distruggerebbero un terzo del patrimonio delle banche.

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