Nucleare, votate le sanzioni alla Nord Corea

Pyongyang minaccia «contromisure»: si teme il traffico di droga e di banconote false

Luciano Gulli

Più del bastone, alla fine prevarrà la carota. E la crisi innescata dalle velleità atomiche della Corea del Nord verrà probabilmente archiviata con un testo sanzionatorio all'insegna dello sciacquamorbido. Vince dunque la linea cino-russa, e perde quella americana, che propugnava l'uso del randello, o quantomeno di sanzioni dure e progressive, sul modello dello stivaletto malese. A sera, dopo lunghe ed estenuanti schermaglie diplomatiche, la fumata bianca. La risoluzione contro la Corea del Nord c'è, e il testo ha avuto l'avallo di tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio. Felice, quantomeno di fronte ai taccuini dei cronisti e alle telecamere, è l'ambasciatore Usa John Bolton. Più felice ancora, il suo collega cinese Wang Guangya, uno dei principali firmatari della sceneggiatura.
Le garanzie offerte da Mosca, che l'altro ieri aveva spedito a Pyongyang il viceministro degli Esteri Alexander Alekseiev, ottenendo di far abbassare di molto la cresta al caro leader Kim Jong Il, possono dunque bastare. Era questa la voce che circolava già ieri pomeriggio al Palazzo di Vetro. Si trattava solo di mettere a punto un testo che non scontentasse nessuno e salvasse la faccia a tutti. Era stato lo stesso ministro della Difesa russo, Sergei Ivanov, a delineare lo scenario all'interno del quale la risoluzione dell'Onu avrebbe dovuto trovare una formulazione concreta. «Noi e la Cina - aveva detto Ivanov da Mosca - condividiamo l'opinione che i mezzi di pressione politica da imporre attraverso il Consiglio di sicurezza dell'Onu non debbano avere durata illimitata». E, si raccomandava Ivanov, stiamo bene attenti a non inserire nel testo delle sanzioni, «che non devono essere dirette contro il popolo nordcoreano, alcun accenno all'uso della forza».
Insomma, nulla di sostanzialmente nuovo rispetto al progetto di risoluzione che circolava già l'altro ieri. Solo un lavoro di lima, che consenta al satrapo di Pyongyang di uscire senza eccessivo disonore dalla sua avventura nucleare. Così, dopo che anche l'inviato cinese per la Corea del Nord, Tang Jiaxuan, aveva confermato che «le posizioni di Russia e Cina coincidono», era rimasto solo il presidente Usa George Bush a usare la voce grossa e a minacciare dure conseguenze «se la Corea del Nord continuerà sulla strada attuale».
A sera, dopo conciliaboli durati per l'intero pomeriggio, il Consiglio riesce a trovare un accordo sul testo proposto dagli Stati Uniti. Tra le modifiche apportate al testo ce n'è una che la dice lunga sulle difficoltà che gli ambasciatori hanno dovuto superare per trovare un minimo comun denominatore. Una modifica che solo apparentemente è di linguaggio, l'obiettivo essendo invece quello di smussare al massimo gli spigoli della crisi archiviandola senza eccessive turbolenze. I Quindici, si dice nel testo, «fanno appello» alla comunità internazionale (dunque non «decidono») per ispezioni dei trasporti di merci in entrata e uscita dalla Corea del Nord. Niente più, insomma, che una volonterosa raccomandazione a fare la faccia feroce. Vince dunque la linea espressa da Pechino, che di tutto ha bisogno, impegnata com'è nella sua furibonda cavalcata economica, meno che di una crisi dagli esiti imprevedibili alle porte di casa. La risoluzione pone anche il divieto ai viaggi di dirigenti nordcoreani impegnati in programmi militari e un embargo che riguarda missili, carri armati, sistemi di artiglieria pesante, navi da guerra e combattimento. Embargati anche i «prodotti di lusso».
Ma c'è stato davvero, poi, l'esperimento nucleare di cui si è gloriata Pyongyang? L'Agenzia europea per la sorveglianza sugli esperimenti nucleari (Cea) ne dubita. Nell'atmosfera, dicono a Parigi gli esperti dell'agenzia, non si è rilevata traccia alcuna di radioattività.

Una conferma arriva invece dagli americani, secondo i quali una radioattività anomala sarebbe stata registrata nell'area dell'esperimento. Ma così debole, da far pensare sempre di più a un bluff o a un mezzo fallimento.

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