Nuova sfida iraniana: due navi da guerra nel mar Mediterraneo

L’arrivo delle unità militari nella base russa di Tartus indica che Teheran ha intenzione di difendere la Siria di Assad a ogni costo

Nuova sfida iraniana:  due navi da guerra  nel mar Mediterraneo

Prima era un grande Risiko, ora sta per diventare guerra vera. Uno scontro dalle conseguenze incalcolabili per il controllo del Medio Oriente. Un conflitto su più fronti in cui la Siria rappresenta la nuova Danzica. I segnali ci sono tutti. I più evidenti sono le scie dell’incrociatore Shahid Qandi e della nave d’appoggio Kharg, le due unità della marina militare iraniana che ieri hanno varcato lo stretto di Suez puntando verso il porto siriano di Tartus.
Dalla caduta dello Scià nel febbraio 1979 a oggi la marina militare iraniana s’è affacciata nel Mediterraneo solo due volte. La prima fu nel febbraio di un anno fa quando altre due navi varcarono Suez subito dopo caduta di Mubarak.

La nuova spedizione - decisa mentre Bashar Assad, il più stretto alleato di Teheran nella regione, sfida la comunità internazionale e reprime nel sangue la rivolta interna - rappresenta un avvertimento molto più serio. A farlo capire è il comandante della marina militare iraniana ammiraglio Habibollah Sayari ricordando che la missione, voluta dalla Suprema Guida Alì Khamenei, serve a «dimostrare le potenzialità del sacro regime della Repubblica islamica».

Il messaggio ha un doppio significato. Il primo è che, a differenza di quanto avvenuto in Libia, Teheran non permetterà all’Occidente e ai suoi alleati arabi di far cadere il regime di Bashar Assad. Il secondo è che un’eventuale attacco ai propri siti nucleari innescherà una rappresaglia a tutto campo capace d’incendiare Medioriente e Mediterraneo. La squadra navale transitata da Suez è insomma l’ultima, nuova pedina sulla scacchiera del grande Risiko per l’egemonia regionale.
Su quella scacchiera l’Iran schiera i missili di Hezbollah in Libano, le cellule di Hamas e della Jihad Islamica a Gaza, le milizie addestrate dai pasdaran in Iraq e le minoranze sciite pronte alla sollevazione in Arabia Saudita, Yemen e Bahrain. Uno schieramento ben strutturato grazie al quale Teheran può destabilizzare l’intero mondo arabo sunnita.

L’epicentro dello scontro è proprio Damasco. La Siria, governata da Bashar Assad e da una minoranza alawita assimilata alla fede sciita, rappresenta il segmento cruciale dell’asse iraniano. Grazie all’alleanza con Damasco, Teheran usa il Libano come base avanzata da cui tener sotto tiro Israele e competere per l’egemonia regionale.

Ma la Siria è anche il palcoscenico di uno scontro molto più articolato. Dietro ad Arabia Saudita, Qatar e Turchia, le grandi potenze sunnite nemiche di Bashar Assad, si muovono Stati Uniti, Francia ed Inghilterra.
Non a caso la Turchia si ritrova costretta in questi giorni a negoziare con Teheran e Damasco la liberazione di una quarantina di uomini della propria intelligence catturati dalle forze governativa siriane mentre fornivano aiuti e consulenza militare agli insorti. Non a caso mentre le navi iraniane fanno rotta verso il porto di Tartus nei cieli siriani volano, come ha ammesso ieri il Pentagono, gli aerei senza pilota americani.

Per le potenze occidentali far cadere Damasco significa togliere agli iraniani qualsiasi possibilità di rappresaglia in caso di blitz israeliano sui suoi siti nucleari. Dunque spezzare l’asse sciita in Siria equivale a mettere Teheran con le spalle al muro, costringendolo di fatto a negoziare sul nucleare.
Ma l’operazione è tutt’altro che semplice. In Siria a fianco e dietro l’alleato iraniano operano Russia e Cina. Il porto di Tartus, meta della squadra navale iraniana, è anche l’ultima base russa nel Mediterraneo. Lì attraccano i mercantili carichi di armi che garantiscono ricchi proventi all’industria militare russa. Da lì Mosca può continuare ad esercitare un ruolo di grande potenza in Medio Oriente. Rinunciarvi è difficile. Com’è difficile per la Cina rinunciare al petrolio iraniano vero elisir della propria inarrestabile crescita economica.

Ecco perché le navi di Teheran nel

Mediterraneo, la questione nucleare iraniana e la sfida siriana rischiano d’innescare, come avvertiva venerdì il segretario agli Esteri britannico William Hague, «una crisi capace di portarci ad una nuova guerra fredda».

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