Nuove minacce no global Torino respira aria di G8

Oggi e domani contro-sfilata antagonista per intralciare quella della fiamma olimpica

Cristiano Gatti

nostro inviato a Torino

Un disoccupato olimpico, un cassintegrato olimpico, un precario olimpico, uno sfrattato olimpico: saranno i tedofori alternativi delle contro-Olimpiadi. Sfileranno per Torino nei due giorni della vigilia, parallelamente - ma soprattutto di traverso - rispetto alla fiaccola tradizionale, che stremata e sbrindellata dagli assalti di mezza Italia proverà a tagliare finalmente il suo traguardo. Lo spirito di queste contro-Olimpiadi, preparate con molta cura negli ambienti dei centri sociali e della sinistra radicale, non è esattamente quello di De Coubertin: «Abbiamo degli obiettivi e cercheremo di raggiungerli. Quali sono questi obiettivi? Contestare, dare fastidio, rendere visibile il dissenso. Sveleremo l'altra faccia della medaglia olimpica e lo faremo in modi diversi...». Per cominciare, subito simbolicamente impiccati gli odiosi Neve e Gliz. Sul posto e sul poster, senza processo.
I modi sono diversi, avvertono i Contro. Vari, ma anche eventuali. Cioè a dire che non tutto viene svelato e molto è lasciato all'improvvisazione dei singoli: storicamente, hanno sempre dimostrato di saper improvvisare benissimo. Aria di G8 genovese? È quello che senza tanti eufemismi temono nelle centrali dell'ordine pubblico. Del resto, basta dare un'occhiata su Internet. «Indymedia», sito storico: metro per metro, minuto per minuto, c'è l'intero tragitto torinese della fiaccola ufficiale. La pratica piantina è rivolta «a chi volesse fare il pompiere... », là dove i puntini di sospensione spiegano quasi tutto. Ma se eventualmente non fosse abbastanza chiaro, il titolo della scheda s'incarica di spazzare via i dubbi residui: «Tipo di appuntamento: azione diretta».
Cinque cerchi colorati su sfondo grigio. Grigio plumbeo. A due giorni dall’apertura, questa è l'immagine di Torino 2006. C'è un sacco di gente, in Italia e in giro per il mondo, che si sta autoconvocando con una propria idea di «azione diretta». Ai «noisti» d'area regionale (No global, No Tav, No Olimpiadi), si aggiungono i grossi calibri - almeno a livello di incubo permanente - del giro internazionale, genere Al Qaida. Ovviamente, dato il periodo, temutissimo un intervento ad hoc dell'integralismo anti vignette. Pure qui, non si sa mai. Messi tutti assieme questi rischi, ai Giochi torinesi spetta già il primo record: andiamo a inaugurare la manifestazione sportiva più blindata della storia italiana.
Certo non si può parlare di coprifuoco. Ma il destino dei tempi fa di Torino un crocevia dell'alta tensione. Se poi sia solo autosuggestione, sottile psicosi, o semplice clima di rassegnazione (per la serie: ci siamo rovinati pure questa), chi può dirlo: resta il fatto che la Torino di questi tempi non è certo un parco Giochi planetario, dove gente euforica si scambia pacche sulle spalle e le scolaresche saltellano garrule. Toccherà agli atleti, come sempre, spazzare via un po' di cappa e riportare qualche sorriso in zona. Ma prima di arrivarci, al gioco vero dei Giochi, mancano ancora troppe ore di sottile inquietudine. Quindicimila uomini armati e in divisa (novemila in più rispetto al solito), cui si aggiungono gli invisibili dei servizi segreti di mezzo mondo, sono una spiegazione lapidaria del livello di guardia raggiunto. Tra parentesi, al governo costeranno novanta milioni di euro aggiuntivi.
Su tutto questo, troneggia la nostra inventiva tricolore, tipica ed esclusiva. Risulta totalmente dispersa nel vento la speranza di una tregua nazionale. E che la usino per incartarci il pesce i professionisti del no, che anzi non vedono alcun motivo per perdersi una storica e irripetibile occasione di visibilità, è abbastanza scontato. A stupire, invece, è l'atteggiamento - definito pilatesco dal sindaco Chiamparino - di personalità autorevoli come Bertinotti. «Non posso fermare le contestazioni: ma se anche potessi, non credo lo farei». La sua frase riecheggia sinistra nella Torino ansiosa di questi giorni, lasciando chiaramente aperti tutti gli interrogativi del caso. Se parla così lui, come si muoveranno i simpatizzanti della sua turbolenta area politica?
Così, mentre i Giochi stanno diventando un significativo collaudo di quel che sarà l'alleanza elettorale del centrosinistra (lo stesso Chiamparino: «Con Rifondazione, mai più», la presidente regionale Bresso: «Un partito della maggioranza di governo partecipa alle contro-Olimpiadi: è stupefacente»), mentre cioè si prepara all'orizzonte una cruenta resa dei conti, 15mila uomini armati si preparano alla festa. Alla loro festa personale, fatta di controlli, di sospetti, di tensione.
Per molti versi, è la nuova struttura delle Olimpiadi moderne, di fatto inaugurata dopo la mattanza di Monaco '72. Da una parte la lotta esasperata per le medaglie, dall'altra la lotta sotterranea tra guardie e ladri, a livelli però di autentico terrore. In questa duplice gara, davvero Torino 2006 non è molto diversa dalle edizioni che l'hanno preceduta, estive o invernali che fossero.

Purtroppo, Torino 2006 si carica - anzi si sovraccarica - di un peso tutto suo, tutto nostro, tutto italiano: l'assedio dei «no» e dei «contro», sempre e comunque. È questo tocco doc, che ancora una volta ci fa riconoscere davanti al mondo intero. Il nostro messaggio olimpico? Classico, con una variazione: l'importante non è vincere, ma farneticare.

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