Il nuovo ambasciatore in Iraq: "Perchè l'Isis è più pericoloso di Al Qaeda"

Il nuovo ambasciatore in Iraq: "Contrariamente a Bin Laden, loro vogliono il controllo del territorio" . DIARIO DALLA SIRIA

Il nuovo ambasciatore in Iraq: "Perchè l'Isis è più pericoloso di Al Qaeda"

«L'Isis è molto più pericoloso di Al Quaeda perchè, contrariamente al gruppo terrorista di Osama Bin Laden, vuole il controllo del territorio». Lo dice il nuovo ambasciatore italiano a Bagdad, Marco Carnelos.

Poco prima della partenza per la capitale dell'Iraq il diplomatico ha partecipato ad un dibattito sul tema: «Medio Oriente: oltre il Califfato?», organizzato al Circolo Tevere Remo di Roma. E ha spiegato che chi si dovrebbe preoccupare di più dell'avanzata delle truppe fondamentaliste dell'Isis è l'Arabia Saudita.

«Se ti proclami Califfo - ha sottolineato Carnelos- non puoi tollerare che a Riad ci sia un re che controlla i Luoghi Santi dell'Islam. E infatti l'Iran a chi chiede un giudizio sull'Isis risponde: "Non è un problema nostro, ma dell'Arabia Saudita"».

L'avanzata apparentemente inarrestabile delle forze radicali che, superato il terrorismo vogliono porre le basi di un vero e proprio Stato, lo Stato islamico, per l'ambasciatore preoccupa o dovrebbe preoccupare anche altri Paesi, come la Turchia di Erdogan, dove certe posizioni integraliste hanno una certa presa.

«La percezione in molti paesi arabi - ha spiegato ancora Carnelos- è che gli Usa in Iraq abbiano perso la guerra, perchè si sono ritirati e non hanno lasciato un Paese cambiato. Dunque, appaiono sconfitti, come lo furono in passato i sovietici in Afganistan».

Il dibattito si è aperto con la relazione dell'analista del mondo islamico Alberto Negri, che ha sottolineato come i tre Paesi islamici che oggi affiancano gli Usa nella lotta all'Isis, e cioè Arabia Saudita, Turchia e Qatar, sono proprio quelli che in passato hanno alimentato il terrorismo internazionale.

Il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli e l'esperto di geopolitica dell'energia Gian Paolo Toriello hanno poi illustrato quanto pesa sulla guerra in atto l'aumento della domanda di petrolio e il crollo dei prezzi del greggio, prodotto in larghissima parte nei Paesi musulmani.

Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato maggiore della Difesa e vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali, ha detto che l'intervento del presidente americano Barak Obama è «puramente simbolico, a scopo esclusivamente di politica interna» e ha concordato con Negri sul fatto che la coalizione è composta «dagli stessi Paesi che hanno acceso l'incendio».

L'exambasciatrice italiana in Siria Laura Mirakian ha raccontato gli anni che ha vissuto in quel Paese: le speranze e i timori che hanno accompagnato tanti anni fa l'imprevista investitura di Bashar Assad come successore del padre e i tentativi ( non riusciti) anche italiani di far sì che le timide aperture per liberalizzare il settore commerciale si accompagnassero a liberalizzazioni politiche, con una modifica della Costituzione siriana che prevede il partito unico.
C'è stata poi la testimonianza del professor Alessandro Costa, consulente per le imprese del mondo arabo ed esperto in cooperazione, di ritorno della Tunisia dove ha assistito alle elezioni con la svolta laica che ha sconfitto l'ala fondamentalista.

«In fila per votare - ha raccontato Costa - c'erano molte donne, anche velate. E credo siano state loro in gran parte a sconfiggere gli islamici».
In questo Paese, unico in cui ha vinto la «primavera araba, ha spiegato l'esperto, «l'integralismo non attecchisce perchè la popolazione musulmana ha un'educazione e una formazione alle spalle di tradizione francese che fa respingere ogni forma di fondamentalismo e fa crescere l'idea democratica».
Interessante anche l'intervento dell'esperto di comunicazione Giampiero Jacobelli, che ha fornito una lettura dei messaggi mediatici dell'Isis, da quelli sulle decapitazioni allo spot «pubblicitario» di John Cantlie, l'ex giornalista britannico da due anni ostaggio dell'Isis, che nei panni neri dell'anchorman del Califfato ha fatto un resoconto dei combattimenti dalla città siriana di Kobane .

«La freddezza del racconto - spiega l'esperto- , la ieraticità dei gesti, l'ambiente che sembra uno studio tv nei video delle decapitazioni e la professionalità degli appelli per far proseliti di Cantlie,

tendono a dare l'impressione che tutto sia già successo. Che esista già un controllo del territorio e il Califfato sia ormai una realtà con la quale fare i conti, cancellando le immagini di una guerra terroristica in atto».

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