Un nuovo caso Welby. Alla rovescia

Da otto mesi ormai attende immobile, in un letto di ospedale attaccato a un respiratore e alimentato per via entrale, le cure domiciliare per continuare a vivere a casa propria con l’amore dei suoi cari: la moglie, le due figlie, i parenti e gli amici di sempre. Da otto mesi infatti l’Asl di competenza, la Roma C, non ha ancora deciso se Mario Solombrino, 60 anni, malato di sclerosi laterale amiotrofica, merita di ricevere l’assistenza domiciliare come già è accaduto ad altre persone affette dalla medesima patologia.
Ancora oggi, infatti, non si è spenta l’eco dei molteplici dibattiti su quello che verrà ricordato inevitabilmente come il «caso Welby»: la scelta di morire, a casa propria, da parte di un uomo malato di Sla e in fase terminale. Mario invece, a differenza di Piero Welby, ha scelto di vivere e non vuole farlo in un cronicario o peggio in un hospice. Mario vuole vivere a casa sua: a due passi dal Santuario del Divino Amore, a due passi dal punto bar «Ristoro dei pellegrini» che fino a qualche anno fa ha contribuito a gestire. Ma questa scelta, che Mario porta avanti grazie all’ostinazione della moglie Daniela, continua a essere osteggiata da una burocrazia inetta e pasticciona che dovrebbe affidare la sua assistenza ad un’équipe medico-infermieristica e che invece non riesce nell’intento nemmeno in questi otto lunghi mesi concessi. Adesso però il tempo sta per scadere perché «giorno dopo giorno, il rischio che si paventa per mio marito è di essere dimesso dalla casa di cura dove è ricoverato, il San Raffaele di Velletri, e trasferito in un’altra destinazione - spiega la signora Daniela -. Ci hanno assicurato al San Raffaele che attenderanno ancora, prima di effettuare il trasferimento, nonostante non abbiano ricevuto alcuna documentazione in merito al lavoro che l’Asl dice di fare ma che, a oggi, non ha ancora dato alcun frutto».
Daniela Rapagnani malgrado le richieste anche scritte, presentate all’Asl Roma C, non sa ancora quando potrà accogliere a casa il marito. «Gli uffici competenti mi hanno parlato vagamente di un bando per assegnare l’appalto dell’ospedalizzazione domiciliare, di una commissione che si sarebbe riunita due volte almeno per deliberare a chi assegnare l’assistenza e che ormai i verbali della decisione dovrebbero essere alla firma. Ma poi quando ho chiesto spiegazioni scritte - continua - qualcun altro si è intromesso per aggiungere che sarebbe stata la Regione Lazio a bloccare il procedimento e a occuparsene direttamente. Tutte osservazioni e smentite che non convincono. Anzi, mi fanno pensare che non c’è alcun rispetto della dignità umana, morale e psicologica nell’atteggiamento indefinito di certuni funzionari». Ma sarà davvero la macchina amministrativa a essersi arenata? Se è così potrebbe essere quella politica a dargli una spintarella. Non dimentichiamoci che è proprio l’assessore alla Sanità, Augusto Battaglia, a propinare la ricetta dell’assistenza domiciliare, dell’ospedalizzazione a casa propria e della sanità di prossimità come panacea della spesa assistenziale alle stelle.

È bizzarro infatti credere che sia proprio la Regione Lazio a bloccare il procedimento dell’assistenza a Mario Solombrino, così come è bizzarro che il direttore generale di un’azienda sanitaria laziale, in questo caso Elisabetta Paccapelo, non prenda per oro colato i dettami di Battaglia e acceleri i procedimenti di domiciliarizzazione terapica. Intanto Mario continua ad aspettare.

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