Un nuovo frutto della ricerca per combattere la sclerosi multipla

Avanzano le cure per la sclerosi multipla (SM). Farmaci che si assumono per bocca, per periodi brevi, hanno efficacia sia nel ridurre gli attacchi della malattia fino al 58 per cento, sia le lesioni cerebrali dell’80 per cento. Armi avanzate che aprono prospettive nuove di cura ai 2 milioni e mezzo di persone nel mondo colpite dalla malattia. Più di 50mila in Italia.
Di patologie neurologiche e avanzamenti nella ricerca si è parlato a Milano al 19° Congresso della Società europea di neurologia (Ens). Un appuntamento annuale. Più di 3mila i partecipanti, provenienti da tutto il mondo.
Interesse hanno suscitato i risultati di uno studio clinico in fase III (Clarity condotto per due anni su oltre 1300 pazienti in tutto il mondo con SM recidivante-remittente). La sperimentazione ha impiegato, per la prima volta nel trattamento della sclerosi multipla, un farmaco orale da assumere per brevi periodi (cladribina): una compressa al giorno per 4-5 giorni, la prima settimana di tre mesi consecutivi. Poi basta per tutto l’anno. E dopo questo periodo, in base alla condizione immunologica del paziente, la cura potrà essere ripetuta oppure ritardata. Secondo i risultati emersi, il farmaco ha dimostrato efficacia doppia nel ridurre la frequenza degli attacchi (tra il 55 e il 58 per cento) e non ha indicato problemi di effetti collaterali negativi sui due anni. Inoltre il monitoraggio attraverso la risonanza magnetica (Mri) ha rivelato una riduzione dell’80 per cento delle lesioni. «Risultati positivi che contribuiscono a definire l’importanza di questo farmaco», commenta il professor Giancarlo Comi, direttore della neurologia al San Raffaele di Milano e fra i coordinatori dello studio Clarity. «Adesso sarà rilevante attendere gli esiti dell’estensione di questo studio a quattro anni o anche più, per avere una definizione finale del livello di sicurezza». Grazie anche all’arrivo di queste molecole, il medico può meglio contrastare la sclerosi multipla. «Fondamentale capire come selezionare il trattamento giusto», prosegue il professor Comi. «Cambia l’obiettivo. Non ci si deve più accontentare che il paziente abbia meno attacchi, ma è importante proprio fare in modo che non ne abbia e, nel caso ne avesse, occorre cambiare la terapia. Come non si potrà più accettare che il paziente vada incontro ad una nuova lesione. Perché si è visto che la partita la si gioca all’inizio della malattia».

Il farmaco (una piccola molecola che interferisce con il comportamento e la proliferazione di alcuni globuli bianchi) nella sua versione orale è frutto della ricerca Merck Serono. Prossima la richiesta di registrazione all’Agenzia europa per i medicinali (Emea) e alla Food and Drug Administration (Fda).

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