Non ricordo se il Controcorrente sia stato un’idea di Montanelli, o se invece sia stato una di quelle idee collettive che germogliarono nei mesi d’incubazione del Giornale. Come che siano andate le cose, il Controcorrente diventò poi il segno più costante e più personale della presenza di Indro nel suo quotidiano. Più costante, più personale e forse perfino più importante dei suoi straordinari «fondi». Come la Settimana enigmistica, il Controcorrente ha avuto innumerevoli imitazioni, nessuna delle quali mi pare abbia finora avvicinato le qualità degli originali: fatti d’un umorismo leggero, d’una ironia elegante, a volte d’una perfidia morbida che trovavano espressione in una scrittura inimitabile. Una scrittura nella quale la sapienza della punteggiatura aveva un ruolo decisivo.
Per quanto ricordo solo un francese, Robert Escarpit su Le Monde, aveva lo stesso fendente. Quando Giscard D’Estaing e Chirac - l’uno presidente della Repubblica, l’altro primo ministro - erano arrivati alla rottura, Escarpit aveva sottolineato la brevità eccezionale del loro ultimo colloquio. Una decina di minuti tra l’arrivo e la partenza di Chirac. Tenuto conto di quanto fossero lunghi i corridoi dell’Eliseo, i due, insinuava Escarpit, non potevano essersi detta che una parola. Sottintendendo che fosse la parola di Cambronne.
Non è che mancassero, su altri fogli italiani, gli umoristi: ma si esprimevano con stile diverso. «Fortebraccio» dell’Unità era molto divertente, ma indugiava diverse righe prima d’arrivare alla «fronte inutilmente spaziosa» di Nicolazzi, o a Spadolini, «vegliardo infante». Fulmineo, Montanelli aveva colpito Flaminio Piccoli - uno dei suoi bersagli - quando confessò in un momento critico d’avere un po’ perso la testa. Uno può perdere, ne deduceva Montanelli, anche quello che non ha. Enrico Mattei, il giornalista non il petroliere, anziano goliardo di sala stampa romana, inseriva delle battute criptiche nei suoi editoriali per la Nazione. Solo pochi addetti ai lavori erano in grado di capirli, ma proprio questo gli stava a cuore. Così un giorno, avendo saputo di pettegolezzi su un notabile socialdemocratico di primo piano che allungava le mani con le segretarie, scrisse in un articolo, dopo aver riferito delle prese di posizione dei vari Saragat o Fanfani o altri, che anche il succitato, «questa figura da vecchio tastamento», aveva detto la sua. I correttori erano stati diffidati dall’intervenire.
Ma il Controcorrente era un’altra cosa. Lo spunto quotidiano era per Montanelli un assillo, nelle giornate di magra un incubo. Lo vedevo immobile sulla poltrona con lo sguardo fisso nel vuoto. Rimuginava un possibile sberleffo, ma se non ne era convinto rinunciava. Capitava che durante la trasmissione televisiva dell’ispettore Derrick - le eravamo entrambi molto affezionati - si alzasse d’un tratto. Aveva avuto l’ispirazione. I Controcorrente non erano soltanto di Indro. Alcuni di noi del Giornale - io in primis - gliene proponevamo. Se accettava, di solito metteva mano nella punteggiatura, con effetti magici. Eccezionalmente ha pubblicato i «controcorrente» di autorevoli fondatori del Giornale, per spirito d’amicizia e sapendo che era impossibile ricondurli alla sua cifra.
Ne ricordo uno del grande Cesare Zappulli sulla visita che il presidente Leone fece alla Normale di Pisa, esibendovisi in plateali scongiuri partenopei. Zappulli spiegava, al proposito, quanti tipi di corna ci fossero, o come potessero essere fatte: oscillando la mano con le due dita puntate sopra la propria testa, ad evitare influssi perniciosi, o puntate verso un interlocutore, per reciprocare la iettatura, o puntate verso il basso, per scaricare la iettatura a terra. Dato l’alto livello scientifico dell’ateneo pisano Leone - spiegava Zappulli - aveva abbinato due tipi di corna. Una divagazione di irresistibile spasso. Ma lunga quanto dieci Controcorrente montanelliani. Ci si cimentò anche Enzo Bettiza, e il risultato fu una splendida analisi politica che di Controcorrente poteva contenerne una ventina.
Il Controcorrente poteva essere, oltre che irridente, perfino osé. Il che provocava proteste dei nostri lettori più timorati, se non vogliamo dire bacchettoni. Alcuni scrissero stizziti dopo un Controcorrente nel quale Montanelli aveva tacitianamente riraccontato la vicenda d’un fidanzato siciliano che, volendo verificare l’illibatezza della fidanzata, l’aveva portata dal ginecologo.
Ed essendo risultato che illibata non era, l’aveva presa a rivoltellate. Il fidanzato, scrisse Montanelli (cito a memoria) «sparò alla fonte del disonore per fortuna mancandola. Per un pelo».Mario Cervi
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