Il nuovo sogno americano dell’inventore di Facebook superfavorito agli Oscar

Le nomination son servite, sul classico vassoio d'argento. Ora si tratta di vedere quali di esse si trasformeranno nel piatto più succulento e ambito del cinema internazionale, l’Oscar (il 27 febbraio a Los Angeles). La lotta sarà dura, ma quel che è certo è che non si può parlare di colpi di scena. Più o meno, le previsioni sono state confermate, anche se un certo Christopher Nolan vede il proprio film tra i dieci nominati alla vittoria finale (si tratta di Inception) e il proprio nome tra le migliori sceneggiature originali, ma resta fuori dalla lista dei migliori registi. E la cosa appare doppiamente strana, se si pensa che in Inception, al pari del tortuoso intreccio e del suo claustrofobico dipanarsi «a matrioska», sono state le soluzioni visive e registiche di Nolan a fare sensazione. Un rapporto conflittuale, quello dell’immaginifico e amato (da critica e pubblico) cineasta londinese che, a un anno di distanza dalla clamorosa esclusione del suo cupo e supereroistico The Dark Knight Il Cavaliere Oscuro, si ritrova snobbato dai savi dell’Academy.
Allora furono i fan di Nolan alleati a quelli del personaggio Batman ad alzare l’urlo dell’indignazione. E, allora come oggi, la «ferita» è servita con il numero otto: otto nomination per Il Cavaliere Oscuro, e altrettante questa volta per Inception, terzo in classifica - ex aequo con The Social Network, dietro il remake Il Grinta, griffato fratteli Coen (10 nomination), e il «re» dei nominati, per l’appunto Il discorso del Re (12 nomination).
È questo il titolo forte che sembra destinato a non far prigionieri nell’ultima edizione degli Oscar. I rivali nella categoria di miglior film sono, oltre al citato Inception, Black Swan di Darren Aronofsky, The Fighter di David O. Russell, I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko, 127 Ore di Danny Boyle, The Social Network di David Fincher, il cartoon Toy Story 3 di Lee Unkrich, Il Grinta dei Coen e Winter's Bone di Debra Granik, quest’ultimo trionfatore al Sundance Film Festival. E se si vuole trovare un comune denominatore tra questi titoli, cercando di capire quali siano i temi capaci di far vibrare le emozioni e l’interesse del pubblico e della critica americani, bè, nemmeno in questa circostanza ci si trova di fronte a qualcosa di clamoroso, perché a vincere è sempre l’autorealizzazione dell’individuo in rapporto con il mondo esterno.

Non a caso il «re Giorgio» Colin Firth, balbuziente destinato a guidare la Corona britannica nella mortale guerra contro il grande comunicatore Hitler, sembra il più accreditato alla vittoria come migliore attore protagonista, ciò nondimeno il feroce perseguimento dell’American Dream dell’inventore di Facebook (Jesse Eisenberg in The Social Network), il rude e testardo cowboy de Il Grinta (Jeff Bridges erede di John Wayne), il viaggio nelle luci e ombre della personalità di Inception e Black Swan (straordinaria la “ballerina” Natalie Portman, forse la più accreditata alla vittoria finale come migliore attrice protagonista), la determinazione della protagonista di Winter’s Bone (Jennifer Lawrence, anche lei nominata come attrice) a ricomporre le proprie memorie famigliari, così come quella del protagonista di Biutiful di Alejandro Gonzalez Inarritu (Javier Bardem padre di famiglia divorziato nei bassifondi di Barcellona, anche lui tra i pretendenti alla statuetta come migliore attore), la lotta per la sopravvivenza dello scalatore Aron Ralston (James Franco in 127 ore, aspirante migliore attore nonché presentatore della Notte degli Oscar insieme ad Anne Hathaway) sono tutti incisivi esempi di «imprese» individuali.
Come dire, l’America non smette di guardare alla storia - non importa se con la esse maiuscola o minuscola - come fatale copione scritto dalla forza dell'individuo.

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