Chi parla degli stadi italiani del futuro si rende conto di dover ripartire da cento anni fa. Dal Ferraris, dalla sua secolare esperienza, unica nel panorama nazionale. Ieri mattina alla sala Auditorium del Coni si è svolto il convegno «Dalla società sportiva all'impresa sportiva: Impianti sportivi e non solo: modelli di proprietà e di gestione». Una vera e propria occasione di confronto tra esperti per gettare le basi di quello che al momento è uno dei temi caldi dello sport e del calcio in particolare: la costruzione di stadi di proprietà.
Eppure, forse a sorpresa per chi a Genova è abituato a non considerare troppo le risorse che ha in casa, due dei nove relatori erano genovesi, chiamati a portare sia l'esperienza del «vecchio» Ferraris, sia una valutazione tecnica su quelle che potrebbero essere le reali prospettive economiche per le società di calcio. L'architetto Roberto Burlando è infatti intervenuto sul tema «Problematiche urbanistiche e progetti di ristrutturazione». Questo perché proprio il professionista genovese ha elaborato un progetto per la messa a norma di uno stadio «vecchio» di cento anni quale è appunto il Ferraris, ma che con adeguati interventi potrebbe essere un'importante alternativa alla costosa costruzione di un nuovo impianto. Il progetto di Burlando, presentato dalla Fondazione Genoa, e ignorato peraltro con spocchiose giustificazioni dalla sindaco Marta Vincenzi, è cioè stato preso in considerazione come una delle possibili soluzioni che guardano al futuro senza comportare costi eccessivi.
L'altro genovese intervenuto al convegno è stato invece Diego Tarì, dirigente d'impresa, esperto di organizzazione e sviluppo, che ha aperto molte crepe nelle certezze di chi «vede» nello stadio di proprietà delle società calcistiche una soluzione vantaggiosa dal punto di vista economico. Autore del libro «Ho provato a difendere un sogno», Tarì ha esposto i rischi cui le società italiane potrebbero andare incontro. Partendo dagli esempi di tre grandi strutture internazionali quali l'Allianz Arena (Bayern Monaco e Tsv 1860 Monaco, poi fallito proprio per i costi dello stadio), l'Emirates Stadium (Arsenal) e l'Amsterdam Arena (Ajax), sono stati presi in considerazione i parametri necessari a far diventare un business conveniente la realizzazione di uno stadio di proprietà. Parametri che in Italia pochissime società forse riuscirebbero a garantire e che, se non rispettati, diventerebbero anzi un boomerang molto pericoloso, come nel caso della seconda società di Monaco.
Il «padrone di casa» del convegno, il professor Alfredo Parisi, presidente di Federsupporter, una sorta di sindacato nazionale dei tifosi «utenti» dello sport, ha molto apprezzato gli interventi dei genovesi.
«Trovo il Ferraris un esempio da seguire, non solo perché è il primo stadio d'Italia - esordisce quasi a sorpresa - Seguo il calcio all'estero, amo il football inglese e il caso del Chelsea è quello che meglio rappresenta il nostro futuro ideale. Lo stadio è inserito nel tessuto urbanistico cittadino. Ed è proprietà di una società onlus dei tifosi. È distinto dalla gestione della società calcistica, ma garantisce il massimo della sicurezza, gestito direttamente da chi lo utilizza. Non ritengo giusto che lo stadio sia l'occasione per realizzare strutture che con lo sport nulla hanno a che vedere. Al convegno ha partecipato anche il rappresentante del credito sportivo. Stanno finanziando tre stadi nuovi: Cagliari, Udine e Palermo, che prescindono dalla nuova legge sugli stadi, proprio perché non nascono con l'intento di creare altre attività commerciali. Lo stesso stadio della Juve ha questo principio.
Un apprezzamento che l'architetto Roberto Burlando e il manager Diego Tarì non hanno mai avuto nella loro città. Ma in fondo, anche questa, non è una gran novità.
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