Il nuovo talent show si chiama Sanremo

Ormai si può anche cambiargli nome: da Festival a Festalent. Eccola qui la metamorfosi di uno degli ultimi simboli dell’italianità e del famigerato gusto nazionalpopolare. Sanremo come la pizza e il calcio: interclassista, intergenerazionale, inter-regionale (come certi treni)

Ormai si può anche cambiargli nome: da Festival a Festalent. Eccola qui la metamorfosi di uno degli ultimi simboli dell’italianità e del famigerato gusto nazionalpopolare. Sanremo come la pizza e il calcio: interclassista, intergenerazionale, inter-regionale (come certi treni). Non a caso il marchio fonde Festa e Stivale. Invece il nuovo logo rimanda al televoto e ai meccanismi del marketing.
La vittoria di Valerio Scanu, proveniente da Amici, è la consacrazione di questa trasformazione della kermesse canora. Una vittoria insidiata fino all’ultimo dal trio di Pupo, il Principe e il Tenore, fenomeno mediatico sponsorizzato dal ct della Nazionale e, paradossalmente, anche dall’ostracismo dei tipini fini di Farefuturo.
Ma, ora, a risultato acquisito, un fatto è assodato. Sanremo è diventato una sorta di spareggio tra Amici e X Factor, i due talent show della musica nostrana che sfornano aspiranti popstar a raffica. Quasi fosse un Mondiale per club della musica disputato tra i vincitori della Champions e quelli della Coppa Libertadores, la kermesse rivierasca concentrata in pochi giorni sembra un Gran Premio finale, un trofeo di consacrazione dopo le vittorie nelle competizioni che danno visibilità prolungata. Una sfida e via, al termine di tornei lunghi e pieni di insidie giocati ognuno nel proprio girone, Rai e Mediaset.
Nella sessantesima edizione appena conclusa e inaugurata da Susan Boyle, brutto anatroccolo divenuto cigno grazie a Britain’s Got Talent, i concorrenti provenienti dai laboratori del pop erano ben quattro. Valerio Scanu (Amici), Marco Mengoni e Noemi (X Factor), oltre a Tony Maiello (sempre X Factor), rampollo di Mara Maionchi e trionfatore nella sezione giovani. Un’onda montante.
Già lo scorso anno la vittoria di Marco Carta aveva inaugurato la tendenza, peraltro indovinata dal Giornale che il giorno prima della finale aveva titolato: «E se Amici vincesse il Festival di Sanremo?». L’apoteosi era stata completata da Maria De Filippi, superospite di Bonolis, trovatasi a consegnare la palma della vittoria all’allievo uscito dalla sua scuola. Quest’anno su quel palco si è visto Maurizio Costanzo. Ma se non fosse successo ciò che sappiamo, avrebbe dovuto esserci come concorrente anche Morgan, leader carismatico di X Factor.
Visti i risultati di un anno fa, i cervelloni della Rai hanno accelerato nella direzione del Festalent, consapevoli che il televoto e il meccanismo di identificazione tra i ragazzi e i loro idoli ben allevati, allenati ed esibiti nelle palestre della canzonetta, avrebbero portato linfa vitale nel corpaccione appesantito del Festival. Così è stato. Non a caso, rispetto a un anno fa, sono in crescita sia i televotanti che il pubblico giovane, con un lieve abbassamento dell’età media dei telespettatori.
È questo il capolavoro di marketing della Rai e di un Festival sempre più mediatico e sempre meno musicale. Mengoni e Scanu che peraltro si è esibito per due sere con Alessandra Amoroso, pure lei creatura di Amici, sono ancora soprattutto prodotti di laboratorio, personaggi che si affermano per il look più che per la voce o i testi delle canzoni.
Qualche decennio fa, Caterina Caselli e Lucio Battisti o Anna Oxa e Giorgia comparivano raramente in tv. Spuntavano di rado all’Ariston e i loro brani potevi ascoltarli solo alla radio, prima di comprarti il 33 giri. Senza immagini, era ascolto vero. Sarà forse per questo che le loro canzoni sono diventate la colonna sonora di intere generazioni e ancor oggi offrono il titolo a parecchi film italiani di successo. Mentre ora Marco Carta rischia di consumarsi nel giro di una stagione. Vedremo come andrà a finire.
Intanto va rilevato un altro piccolo controsenso.

Se il fattore x dei cantanti è il talento, perché a decretarne il successo è il televoto, cioè un target parziale di spettatori, e non chi di talento artistico si intende davvero?
Tra un anno, quando sui canali Mediaset avrà attecchito anche Italia’s Got Talent, ne sapremo di più. Ma già fin d’ora la sensazione è che andrà corretto lo storico tormentone. Perché «Sanremo non è più Sanremo».
Ma di sicuro «sarà un successo».

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