"A’ nuttata" che non passa mai

Le due facce di San Silvestro: Torino si ferma per gli operai Thyssen, sotto il Vesuvio si folleggia tra la monnezza

"A’ nuttata" che non passa mai

Ci sono due modi di affrontare il nuovo anno, così come in fondo ci sono due modi di affrontare la vita stessa. C’è chi si porta dietro il peso dei propri guai, scoprendosi paralizzato, malinconicamente impedito a festeggiare qualunque cosa. E c’è chi sceglie di prendersi una parentesi, di chiudere i guai fuori dalla porta, liberando una gioia a tempo determinato, festeggiando finché si può, fino a quando ineluttabilmente bisognerà ritornare nella tetra realtà.

Fine 2007, inizio 2008: l’Italia offre sullo stesso palcoscenico due grandi rappresentazioni di questi caratteri umani. A poche ore dal grande concerto di mezzanotte, Torino sbaracca il luna-park mondano. La morte dell’ultimo operaio di quell’eccidio chiamato ThyssenKrupp suscita una reazione di suprema pietà. Niente baldoria, per una sera. Non c’è alcuna voglia di ballare e di cantare, in mezzo a questo lutto e a questo dolore. Un saggio sindaco, Chiamparino, si trova al fianco tutta la sua gente, come succede quando un sindaco esercita saggezza. In certi momenti, i gesti contano. Più delle chiacchiere. Difatti nessuno mugugna. Nessuno s’azzarda a dire che la vita deve continuare. Non si sente il solito saltimbanco che pronuncia l’idiozia di circostanza, quel «the show must go on» buono da sempre per coprire le nefandezze più ciniche e più volgari.

Qui Torino, a voi Napoli. Nel classico giro dei Capodanni italiani, Napoli presenta invece il suo classico affresco picaresco, costellato di botti, luci, canti e balli. Il concerto in piazza Plebiscito, come sempre, affollatissimo e festosissimo. E come sempre puntualissima la contabilità del pronto soccorso, qualcosa che nella tradizione abbiamo metabolizzato come pittoresca regola del gioco, ma che nulla perde della sua stupidissima atrocità: decine e decine di feriti sdraiati sulle barelle con i loro moncherini, un giovane marito ammazzato dalla solita pallottola vagante mentre gioca a carte in tinello, un bambino figlio d’immigrati che rischia grosso per un’altra pallottola conficcata nel cervello.

Allegria, è la favolosa e invidiatissima mezzanotte partenopea. Eppure, con tutto il rispetto per le proporzioni, neppure a Napoli mancherebbero motivi per abbassare qualche tono. Magari per smontare all’ultimo momento il grande palco del mega-concerto, come ha deciso Torino ricordando i suoi ragazzi morti in acciaieria. Napoli non ha di questi lutti. Ma ha un sacco di altre grane dolorose e insopportabili, almeno per un luogo ancora capace di orgoglio e di indignazione. Nel suo circondario la spazzatura arriva ormai ai primi piani delle case. I bambini ci giocano, i batteri ci sguazzano. Soltanto la temperatura rigida ha finora impedito che sporcizia ed epidemie facessero più danni di una linea ThyssenKrupp.

Quest’emergenza rifiuti, interminabile e irrisolvibile, è una metastasi inaccettabile. Non c’è abitudine, non c’è assuefazione, che possa renderla accettabile. Tuttavia, il Capodanno esplode come se niente fosse. Anche stavolta Napoli difende la sua festa, a qualunque costo e nonostante tutto. Canti, lazzi e trullallà. Per l’occasione, il paesaggio riluce pure di pattume incendiato. È l’antica e sbandierata filosofia scacciapensieri, che tante simpatie ha convogliato sul Golfo, ma che non impedisce di sprofondarlo sempre più nell’assurdo.
Purtroppo, qui il governo locale non s’è sentito in dovere di inventarsi un gesto. Di proporre, per una volta, la sobrietà. E stavolta nessuno potrà nemmeno buttarla in politica: la baldoria sguaiata o la silenziosa compostezza non sono di destra o di sinistra. Casualmente, Chiamparino è della stessa parte delle Jervolino e dei Bassolino. Eppure gli atteggiamenti sono opposti. Vogliamo dire allora che è una pura e semplice questione di cultura? Vogliamo dire, se non suona esagerato, che sono differenti le anime delle due città?

Napoli farebbe molto male a liquidare la questione con la solita insofferenza vittimista, impermalosendosi contro il Nord razzista. Tutti gli italiani amano Napoli. Tutti gli italiani sanno che Napoli è più vitale e sanguigna di Torino. Ma c’è un limite. A Napoli esiste un tizio che una notte di Capodanno s’è presentato al pronto soccorso senza tre dita, sacrificate alla libidine del botto. Dodici mesi dopo, si è ripresentato puntualmente allo stesso pronto soccorso senza un’intera mano, per lo stesso motivo. È folklore popolare, questo? Fa ancora simpatia? Oppure non comincia a coprire Napoli di vergogna, come indiscutibilmente la coprono l’uccisione del povero trentenne e il coma del piccolo immigrato?

Nessuno sconto al Nord, quando si perde nella cinica corsa al profitto o quando si fa tentare dalle pulsioni xenofobe. Ma ora, davanti a un nuovo Capodanno di ineffabile follia, nessuno sconto neppure a Napoli. Non si possono sperperare milioni di euro per sparare botti, mentre ormai il fetido pattume arriva al primo piano. Non si può sparacchiare in aria e ammazzare gente, solo perché la festa di Napoli dev’essere unica e insuperabile.

Ovunque, non solo a Torino, arriva il momento in cui sapersi fermare. In Italia s’è fermato persino il calcio, a un certo punto. Per Napoli, il momento sarebbe arrivato da un pezzo: basta guardarsi in giro.

Il momento di rompere con il compiaciuto fatalismo, di sbarazzarsi degli eccessi scacciapensieri. Forse è vero che i guai si possono dimenticare cantando in piazza e sparando botti atomici. Ma la mattina dopo, immancabilmente, sono lì fuori che aspettano. E ’a nuttata non passa mai.

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