Nyman prima si fa sostituire e poi delude con i «Sonetti»

Al festival «oltre la linea» il maestro ha ceduto il podio a un altro direttore per «The Libertine»

da Venezia

La cinquantunesima edizione del Festival di Musica Contemporanea ha per titolo «Oltre la linea», dove per linea si intende la diagnosi della condizione del presente, una soglia che bisogna provare ad attraversare. Lo si può fare ovviamente anche nella musica, sia in senso orizzontale, cercando di andare al di là dei limiti nei quali ci si imbatte, sia in senso verticale, approfondendo il punto al quale si è pervenuti.
Spiace dire che con il concerto inaugurale di Michael Nyman, al Teatro alle Tese dell'Arsenale, il festival sia rimasto ben al di qua della linea. Ha voluto esordire con un personaggio attuale e di grande presa sui media (sala esaurita come prevedibile, con una buona partecipazione di giovani), ed è inciampato. Nyman, 63 anni, londinese di nascita, è stato musicologo e poi è diventato compositore, pianista, direttore d'orchestra e soprattutto autore di celebri colonne sonore per il cinema (Lezioni di piano, la più celebre) e da ultimo produttore discografico di se stesso. È lui l'inventore, 40 anni or sono, del termine «minimale», poco simpatico a molti, per la musica di Steve Reich ma anche per la propria.
Al Festival doveva dirigere l'Orchestra dell'Accademia Musicale di Santa Cecilia nell'interpretazione di tre partiture sue: The Libertine (colonna sonora dell’omonimo film con Johnny Depp) per soprano, violino e orchestra sinfonica, il Concerto n.2 per l'ottimo violino di Francesco D'Orazio, entrambe in prima esecuzione assoluta e i Sonetti Lussuriosi tratti dal Libro primo degli omonimi sonetti di Pietro Aretino, commissionati dalla Biennale di Venezia e dalla Compagnia per la Musica in Roma. Poi all'ultimo istante - non si è capito il motivo - Nyman ha ceduto la bacchetta per i due primi lavori al direttore Carlo Rizzari, riservando per sé i Sonetti.
Diciamo, a voler essere indulgenti, che la musica di Nyman, «sintesi di stilemi barocchi, di suoni da strada, di timbri rock-pop» e caratterizzata da una costante e prevedibile circolarità, si coniuga a fatica con un'orchestra come quella di Santa Cecilia. Fra le tre composizioni si è fatta preferire la mezz'ora abbondante dei Sonetti. Ma ahimè, il soprano Marie Angel, australiana, sebbene dotata di voce pregevole ha cantato i versi immortali di «Aretino Pietro, con una mano davanti e l'altra dietro», tanto caro alle memorie di scuola, riducendoli a meri fonemi. E così questa attesa possibilità di divertimento se n'è andata in fumo. Moderati gli applausi finali, con qualche fischio che non era all'americana.
Nel tardo pomeriggio, a mo' di proemio, il concerto di Nyman era stato preceduto, nel vicino Teatro delle Vergini, dalla prima esecuzione italiana di Kraaneg (1969) di Iannis Xenakis, un'ora e un quarto di suoni per Ensemble e nastro magnetico a quattro canali. I nastri erano azionati da Peter Bohm e Florian Bogner, e l'Orchestra Klangforum Wien di 23 elementi era diretta da Stefan Asbury.

La presenza di un lavoro siffatto di Xenakis ha fatto fare ai frequentatori di lungo corso del festival un salto all'indietro nel tempo, risvegliando il ricordo di quando pochi iniziati (ma buoni) ascoltavano la musica contemporanea al Teatro La Fenice. Adesso gli iniziati non sono più così pochi e forse sono meno buoni, ma hanno gradito.

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