Obama fa il duro: «Seri dubbi sul voto in Iran»

Si è detto «spaventato e indignato per le minacce, le violenze, gli arresti degli ultimi giorni in Iran» che ha «condannato con forza». Si è schierato simbolicamente con gli studenti elogiando «il loro coraggio e la loro dignità». Non si era mai espresso in questi termini, Barack Obama e sebbene abbia tentato di rivendicare la propria coerenza, il cambiamento è evidente. Ha accolto gli appelli dell’Europa, del Congresso, della destra repubblicana e, negli ultimi giorni, persino della sinistra liberal: cambia marcia e non solo nei toni, decisamente più duri.
Durante la conferenza stampa di ieri alla Casa Bianca, Obama ha affermato che prima di avviare colloqui con Teheran intende verificare l’esito dell’attuale crisi. Ha parlato di «un sentiero di pace che solo il regime» degli ayatollah può imboccare. «Se il governo iraniano vuole il rispetto della comunità internazionale deve rispettare i diritti e la volontà del suo popolo», ha dichiarato Obama che si è rifiutato di porre condizioni precise. Ma il messaggio, sebbene implicito, è inequivocabile: la distensione tra i due Paesi sarà possibile solo se il sangue smetterà di correre nella vie della capitale iraniani.
Finora la Casa Bianca mirava soprattutto a non offrire al regime il pretesto di un bagno sangue, pronunciando dichiarazioni sopra le righe. Ma, come ha dovuto ammettere lo stesso presidente, questa strategia non ha funzionato, perché Ahmadinejahd ha accusato comunque gli Usa e la Gran Bretagna di aver fomentato le proteste e ha permesso che i media del regime manipolassero le frasi del leader statunitense. Obama predicava la moderazione e la cautela, ma agli iraniani venivano riferite parole infuocate e offensive.
L’impressione è che l’Amministrazione americana ritenga già compromessa la possibilità di dialogo con l’attuale regime e che, forse, non consideri ancora tramontate le chances di successo della protesta, nonostante abbia perso intensità negli ultimi giorni. L’appello di Obama potrebbe rinvigorirla.
«Abbiamo visto donne coraggiose ribellarsi alla brutalità e alle minacce. Abbiamo visto una ragazza uccisa brutalmente per le strade di Teheran. Benché tutto questo sia orribile, sappiamo che coloro che si battono per la Giustizia stanno sempre dalla parte giusta della storia», ha ammesso il presidente,che ha negato, ancora una volta, qualunque ingerenza negli affari interne dell’Iran. «Le accuse al nostro governo e alla Cia sono assurde e mi rifiuto di essere il capro espiatorio del regime iraniano, che cerca di distrarre il popolo da quel che accade davvero nel Paese», ha affermato. Ma poi ha invitato un giornalista della Huffington Post a trasmettergli una delle domande che «coraggiosi blogger iraniani», aggirando la censura, gli hanno inviato. E ha dichiarato «di avere seri dubbi» sulla legittimità del voto. Si astiene e sprona, rassicura e fomenta. Decisamente un altro Obama.
La Cia, peraltro, questa volta, non c’entra nulla, Da quando nel 2003 l’allora segretario alla Difesa istigò, improvvisando, la protesta degli studenti,che venne repressa dalle Guardie della Rivoluzione, l’intelligence americana non dispone più di una rete efficiente in Iran. La rivolta di è davvero spontanea. I giovani di Teheran sono soli di fronte al mondo, ma il regime non gode più del sostegno della popolazione e resiste solo grazie al sostegno delle forze armate.

Fino a quando i soldati accetteranno di sparare sui ragazzi inermi? Fino a ieri la risposta era quasi scontata, da domani chissà. E se la crisi dovesse finire come sulla Piazza Tienanmen di Pechino, venti anni fa, Obama non potrebbe più essere accusato di aver parteggiato per la parte sbagliata in nome di un’ipotetica e ingenua realpolitik.

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