Obama: fermeremo l’atomica iraniana

Gli Stati Uniti sono «determinati a fermare lo sviluppo di armi nucleari iraniane». Barack Obama torna a parlare di Iran e questa volta non lo fa per criticare il pesantissimo trattamento riservato ai manifestanti che contestano la veridicità dei risultati delle elezioni presidenziali del 12 giugno. Parla invece del preoccupante programma atomico di Teheran in un’intervista alla Associated Press, nel corso della quale si rivolge al presidente russo Dmitry Medvedev invitandolo a voltare pagine nei rapporti con Washington e riconosce che nella comune gestione della questione iraniana «c’è una buona cooperazione».
Rischia intanto dieci anni di carcere Mir Hossein Moussavi, il candidato sconfitto alle presidenziali nel cui nome enormi folle sono scese in strada in queste settimane per le più grandi manifestazioni di protesta della trentennale storia della Repubblica islamica. Gli ultraconservatori vicini al presidente Mahmud Ahmadinejad e i famigerati miliziani basiji si apprestano infatti a scrivere al procuratore generale per far processare Moussavi per «offese contro lo Stato» e «disturbo alla sicurezza della nazione».
Mousavi sembra comunque tutt’altro che rassegnato. Mercoledì aveva rotto un silenzio lungo una settimana per definire «un colpo di Stato» il risultato delle elezioni. Non trovandosi, tra l’altro, isolato in questa denuncia: quando ha detto che «la maggior parte della gente in Iran, tra cui me, non accetta la legittimità» dell’attuale governo, si sono detti d’accordo anche l’altro candidato sconfitto Mehdi Karoubi e l’ex presidente Mohammad Khatami. E tutti insieme hanno affermato che «continuare a protestare e non abbandonare gli sforzi per salvaguardare i diritti della nazione è una responsabilità storica». Ieri il suo portavoce, il regista Mohsen Makhmalbaf, ha detto che gli iraniani continueranno «la loro lotta contro il fascismo in Iran in maniera non violenta, come fece Gandhi in India». E ha preannunciato un grande sciopero «islamico» «organizzato direttamente dall’entourage di Moussavi».
Intanto il regime ha allentato parzialmente la morsa della censura in Iran. Il servizio di invio degli Sms è infatti stato sbloccato dopo che era stato sospeso alla vigilia delle elezioni con l’evidente intento di rendere difficili le comunicazioni tra gli oppositori di Ahmadinejad. Le autorità hanno anche voluto fornire delle cifre relative ai disordini delle scorse settimane, parlando ufficialmente di 20 morti e 1032 persone arrestate. Ma fonti indipendenti in contatto con l’Iran forniscono dati assai diversi. «Dal 12 giugno ad oggi in Iran sono state arrestate più di 2700 persone - dice il blogger Omid Habibinia, in esilio in Svizzera dal 1988 - e secondo i miei dati (confermati dal premio Nobel Shirin Ebadi, ieri in Italia, ndr) oltre 100 persone sono state uccise a Teheran e in altre città iraniane. Soltanto il 20 giugno, giorno di una vera e propria rivolta contro il regime, la polizia e le milizie hanno ucciso più di 30 persone». Habibinia fornisce altre inquietanti informazioni. «Pochi corpi sono stati restituiti alle famiglie, solo a chi ha accettato di non far svolgere funerali e di tacere sull’accaduto. Gli ospedali sono stati costretti a stilare falsi certificati di morte con diagnosi di infarti o incidenti d’auto, scatenando le proteste di medici e infermieri».

Ma soprattutto «cento fra giornalisti e blogger, centinaia di attivisti politici e di sindacalisti sono stati arrestati. Le prigioni sono piene di gente che spesso non c’entra niente con Moussavi: in Iran è in corso ben altro che una lotta fra due partiti della Repubblica islamica».

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