Un discorso che fa onore a Obama, che fa onore all’America. Qualcuno lo definirà di sinistra. Sbagliando; perché il primo a condividerlo è il suo ex avversario nella corsa alla Casa Bianca, John McCain. Barack ieri non intendeva dividere, ma riunire e soprattutto ristabilire quei valori che per troppi anni sono stati accantonati o traditi in nome della guerra al terrorismo. Per quale ragione gli Usa sono diventati la prima potenza al mondo? Per la propria forza economica, ovviamente, ma non solo. «Se in guerra un soldato nemico veniva catturato, sapeva che l’esercito americano lo avrebbe trattato meglio che il governo del proprio Paese», ha affermato ieri parlando agli Archivi Nazionali di Washington. E per meglio Obama intende: rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto, rifiuto inderogabile di ricorrere alla tortura.
«La precedente Amministrazione era convinta che questi principi fossero diventati dei lussi insostenibili» ovvero che Al Qaida potesse essere combattuta e vinta solo sporcandosi le mani. Il primo presidente afroamericano della storia ha concesso a Bush la buona fede: «Era motivato dal desiderio genuino di proteggere il popolo americano» e per questo ha ribadito il no a una commissione d’inchiesta indipendente. Ma quegli strumenti, oltre a essere eticamente inaccettabili, sono risultati controproducenti. Guantanamo, i carceri speciali, le sevizie hanno finito per rafforzare l’odio verso gli Usa e di conseguenza il richiamo di Al Qaida su tanti giovani arabi. «Troppi di noi - repubblicani e democratici, politici, giornalisti, cittadini - sono rimasti in silenzio», in quella che ha definito «la stagione della paura».
Quella stagione è finita. Obama non intende abbassare la guardia e l’accresciuto impegno militare in Afghanistan lo dimostra. Tanto più che «Al Qaida sta pianificando di attaccarci di nuovo», ha detto il presidente. Ma nel combattere i terroristi si ispirerà alla condotta anche morale che ha permesso agli Usa di sconfiggere la Germania nazista e poi l’Unione Sovietica. «Concilierò fermezza e trasparenza», ha promesso solennemente. E allora: le foto delle torture non saranno pubblicate, nel timore, quasi una certezza, di provocare una fiammata di antiamericanismo, che rischierebbe di vanificare il nuovo corso di politica estera. Il carcere speciale di Guantanamo, tuttavia, verrà chiuso; come promesso. E i 240 detenuti, saranno divisi in cinque gruppi. Quelli con prove certe a loro carico verranno trasferiti nei carceri di massima sicurezza americani e processati dai tribunali federali; come già avvenuto per Ramzi Yousef e, soprattutto, per Zaccarias Moussaoui, il ventesimo dirottatore del commando dell’undici settembre.
Chi ha violato le leggi di guerra finirà davanti alle Commissioni Militari, riportate però nell’alveo dello stato di diritto. Del terzo gruppo fanno parte 22 persone riconosciute innocenti e che saranno rilasciate. Il quarto è composto da 50 prigionieri che verranno trasferiti nelle carceri di altri Paesi. «Non libereremo nessuno che rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale», ha dichiarato più volte Obama. Con enfasi. E allora come gestire i detenuti che sono certamente dei terroristi, ma contro cui non è possibile esibire prove certe? Era il passaggio più delicato. E il più atteso. Obama ha annunciato che la detenzione illimitata verrà mantenuta in casi eccezionali, ma rivedendo completamente le deroghe di Bush.
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