nostro inviato a Los Angeles
Una bancarotta preconfezionata per General Motors, Ford e Chrysler: è una delle ipotesi che si stanno facendo strada a Washington come possibile soluzione alla crisi del settore automobilistico negli Stati Uniti. A investire alcuni consulenti del problema, secondo indiscrezioni, sarebbe stato il team di esperti creato dal presidente Barack Obama per gestire il passaggio di consegne alla Casa Bianca. Lidea è che un piano di questo genere semplifica le procedure fallimentari e riduce i costi legali e fissi. Se unipotesi di questo genere prendesse corpo, i costruttori di auto andrebbero in amministrazione controllata già sapendo a cosa ognuna delle parti in causa, compresi creditori, lavoratori e fornitori, sarebbe disposta a rinunciare e avendo pronto un piano dazione da seguire. Un processo di questo genere potrebbe richiedere tra sei e dodici mesi, un tempo più ristretto rispetto a due-cinque anni necessari dalle tradizionali procedure del Chapter 11. Se giudicato fattibile, il progetto porterà a una vera rifondazione dellauto Usa. Limpatto, però, è tutto da verificare.
Intanto laudizione al Senato dei vertici dei tre gruppi continua a far discutere. Assodato che il Congresso non metterà ai voti un eventuale piano di soccorso finché le tre società non spiegheranno nei dettagli lutilizzo dei fondi erogati, a regnare ora è la confusione, con i lobbisti in pressing sui politici per portarli dalla loro parte. Contrario a ogni tipo di aiuto, George W. Bush ora rimprovera il Congresso perché «ha sospeso i lavori senza rispondere al problema», come riportato dalla portavoce Dana Perino. Il Congresso ha infatti deciso di aggiornarsi all8 dicembre per decidere come procedere nei confronti di Gm, Ford e Chrysler che, entro martedì 2, dovranno far sapere come utilizzeranno i sostegni dello Stato. «A questi tre gruppi - ha detto ieri Nancy Pelosi, portavoce della Camera - offriamo lopportunità per dire agli americani la seguente frase: Dateci i soldi, li useremo bene». La Pelosi ha quindi ribadito la propria contrarietà al fallimento di una delle tre case: «Sarebbe un buco troppo profondo». Da qui linvito a Gm, Ford e Chrysler, condiviso anche dal leader democratico al Senato, Harry Reid, di stilare al più presto i rispettivi piani di risanamento da sottoporre al giudizio del Congresso. A Rick Wagoner, Alan Mulally e Bob Nardelli, i tre numeri uno delle case Usa, viene rimproverato di essersi presentati impreparati davanti ai senatori. «Lobiettivo - ha spiegato la Pelosi - era di predisporre un prestito ponte che garantisse le tre società fino a marzo, ma le tre case non sono riuscite a giustificare la richiesta di soldi». Gm, nel frattempo, comincia a fare i conti con i propri fornitori.
Tre delle maggiori società di componenti vogliono far pagar in contanti tutte le consegne.
Obama vuol pilotare la bancarotta delle «Big Three» Usa
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