Obiettivo Europa 2009

È venuto meno il «rapporto fiduciario» tra Gianfranco Fini e Francesco Storace. La rottura era nell'aria da molto tempo: di certo dalla imprevista sconfitta di Storace per la presidenza della Regione Lazio nel maggio 2003. La vicenda potrebbe offrire lo spunto a una considerazione molto superficiale, su cui si lancerà la sinistra: la crisi di An è la prova che il centrodestra, dopo la sconfitta alle elezioni del 9-10 aprile, e dopo i falliti tentativi di dare la spallata al governo Prodi, è entrato in una fase di disgregazione, di cui sarebbero già sintomi l'aventinismo dell'Udc riguardo alle manifestazioni di piazza e le aperture della Lega a chiunque realizzi il federalismo.
Non è così. Perché la rottura tra Fini e Storace non riguarda posizioni di potere e lotte tra «colonnelli», ma è la prova che all'interno di Alleanza nazionale il conflitto tra modernità e identità non è strumentale, ma è profondo nel senso di vissuto con passione. Storace, considerato il leader della destra sociale, è soprattutto espressione di una logica legata al territorio e a quella base elettorale che per troppo tempo si è sentita emarginata prima sul piano civile che su quello politico. Senza tirare in ballo il fascismo o il neofascismo, che obiettivamente non c'entrano, Storace fa valere le ragioni dell'identità di un elettorato che ha, o crede di avere, una sua specificità sociale e ideologica, che tuttavia sempre meno rispecchia l'attuale complessità sociale.
Fini, invece, rappresenta lo sforzo di ammodernamento sui contenuti e sulle strategie di un partito che ragiona in termini nazionali ed europei e tende a collocarsi nel più ampio quadro di una destra internazionale che arricchisce il suo impianto liberale con motivazioni sociali, cosa ben diversa da una impostazione sociale corretta con qualche dose di liberalismo. Poiché proprio in questa direzione si è evoluto il Partito popolare europeo, Fini ha posto come obiettivo di An l'ingresso in questa ampia famiglia di conservatorismo moderno, che se da un lato lo induce a proporre il diritto di voto agli immigrati, purché sia trascorso un congruo periodo di tempo, o la lettura del Corano nelle scuole, ma a condizione di reciprocità, dall'altro lato lo vede difensore della «legge e ordine» per quanto riguarda la presenza dello Stato sul territorio, la lotta alla droga, la difesa dell'interesse e del prestigio nazionale.
Quello di Fini, in altre parole, è un percorso che ha come prossimo obiettivo le elezioni europee del 2009, alle quali intende portare Alleanza nazionale non come elemento di un'alleanza, ma come parte di una vasta aggregazione di centrodestra più compatta di quella sperimentata dalla CdL, e che solo a queste condizioni potrà evolvere in partito unitario. Quando Fini invita a non autodefinirsi e a non rinchiudersi, ma ad «uscire in mare aperto», cerca proprio di evitare quella logica di autodefinizione che sta caratterizzando i partiti e i sotto-partiti della coalizione di sinistra e che potrebbe essere la causa del fallimento dell'Unione.


Per evitare che tutto si riduca a uno scontro personale, Fini dovrà anche riprendere temi alti su cui favorire quella aggregazione cui mira, anzitutto quelli relativi alla riforma costituzionale per trovare una proposta equilibrata tra un rafforzamento del Governo, che non può restare appeso ai voti di fiducia come fa Prodi, e un indifferibile e sostanziale federalismo, che la sinistra intende come facoltà concessa ai poteri locali di aumentare le tasse e dare vita a tante piccole Iri. La vera sfida sarà tradurre tutto questo in termini culturali e di messaggio politico.

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