Alla Festa di Roma, Paolo Virzì si propone come il Luigi Magni di Porto Ferraio. Infatti il suo N (Io e Napoleone), fuori concorso, ispirato al romanzo di Ernesto Ferrero (Einaudi), è ambientato fra 1814 e 1815, durante il breve regno elbano del condottiero, quindi circa nello stesso periodo dal quale (1825) cominciava, quasi quarantanni fa, la serie di film a sfondo romano-papalino di Magni.
Analogo a quello di Magni è anche lo sforzo di Virzì di dire il presente attraverso il passato, perché il Napoleone dello svogliato Daniel Auteuil - fra i peggiori dei tanti nella storia del cinema - evoca Berlusconi, senza nuocere alla carriera di questultimo, ma nuocendo alla credibilità del film. Più indeciso di Magni fra commedia e dramma, Virzì pare optare per il dramma, stile Tutti a casa di Comencini: un vecchio maestro elementare (Omero Antonutti) - sorta di Filippo Buonarroti - attenta alla vita di Napoleone, fallisce e muore fucilato; allora il giovane maestro (Elio Germano) va a disseppellire la pistola.
Cialtrone per tutto il film, il giovanotto neogiacobino ha un rigurgito dantinapoleonismo senza più Napoleone, almeno allElba e ricomincia la sua vana caccia, quella del nano al gigante. Ma neanche Virzì ci crede. Così il maestro - avverte la didascalia finale - «sbarca a SantElena il 6 maggio 1821». Con un giorno di ritardo, insomma. Ma ciò non accontenta chi sia deluso dallincongruo finale vero, quello delle immagini.
La stampa ieri ha però applaudito, con uno slancio che faceva escludere lapprezzamento unicamente estetico. Per rincorrere questo tipo di consenso politico, Virzì - vera cicala - spreca lennesima occasione di rifondare la commedia allitaliana solo per essere gradito tanto du côté de chez Veltroni, quanto du côté de chez Bertinotti. Non solo: il film è prodotto dall«impegnata» Cattleya, ma distribuito della berlusconiana Medusa. Senza essere professionalmente declinante e personalmente antipatico, il livornese importato Paolo Virzì soffre dello stesso sdoppiamento patito da Bernardo Bertolucci.
Comunque N. Io e Napoleone incasserà, anche perché, memore che la popolosa Toscana gli è fedele, Virzì schiera un maiuscolo Massimo Ceccherini, che ha il miglior personaggio e risulta miglior interprete, mentre Germano si agita ogni volta che deve sparare a Napoleone, come forse crede che si agitasse uno di Lotta continua prima di sparare a Calabresi. La promiscua aristocratica affidata a Monica Bellucci, oltre a rendere omaggio alla natia (della Bellucci) Città di Castello, porta la sua venustà matronale nel letto del sovrano, ultimo, meritato tradimento per il giovane maestrino che laveva presa sul serio. Anche lei sfiorisce («matura baronessa» definisce il suo personaggio la cartella-stampa), ma dallindossatrice sta emergendo lattrice.
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Anche laltro film italiano di ieri, sempre nella rassegna Première (fuori concorso), Uno su due di Eugenio Cappuccio, è mezzo comico e mezzo drammatico, ma almeno non è indeciso: opta per il drammatico anche quando strappa il sorriso. La vicenda è social-ospedaliera, col bravissimo Fabio Volo nel ruolo del giovane (anche troppo, essendo socio in uno studio legale) avvocato genovese che crede di stare per diventare ricco, ma scopre che potrebbe presto diventare cadavere: malore, biopsia, esame istologico: ore e giorni, che paiono eterni, gli fanno rimettere in discussione tutto. Nella stanza dospedale, ricoverato accanto al camionista meridionale (Ninetto Davoli, quasi vero), lavvocato si sente dire che «uno su due» scampa. In quella stanza di due, però, chi sarà? È questa iniziale la parte migliore del film, che poi sorienta al patetico, con la ricerca della moglie divorziata (Agostina Belli, altro volto depoca che meriterebbe forse più spazio nella vicenda) del camionista e della figlia adolescente (Tresy Taddei), che ne ignorano la malattia. Dai tempi di Volevo solo dormirle addosso (Mostra di Venezia, 2004) Cappuccio conferma linteresse per i giovani rampanti. Ma migliora non solo la scelta degli interpreti, ma anche la sceneggiatura.
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