Gli occhi elettronici del boss spiavano tutto il suo regno: Zagaria è in cella a Novara

Camorra Hi Tech: nel bunker iPad e computer. E schermi da cui Zagaria controllava il paese grazie a una rete di telecamere. Caccia al progettista del covo

Gli occhi elettronici del boss  spiavano tutto il suo regno: Zagaria è in cella a Novara

Casapesenna (Caserta) - Da due notti il capo della camorra casalese, Michele Zagaria, 54 anni è al sicuro nel carcere di Novara, rinchiuso in una cella in regime di 41 bis, come disposto dal ministro della Giustizia, Paola Severino su richiesta dei pm della Dda. Due agenti del Gom, Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria, sorvegliano a vista l’ultimo latitante dei casalesi, arrestato due giorni fa dalla polizia. Insomma, Zagaria è passato dal suo bunker hi tech, ricavato a quattro metri sotto terra all’interno della villetta di via Mascagni a Casapesenna, ad una cella di pochi metri quadrati nel carcere di massima sicurezza. Il boss non ha aperto bocca da quando è arrivato a Novara, solo poche parole quando è giunto all’Ufficio matricola. Nome, cognome, data di nascita e altre informazioni, necessarie per l’apertura del fascicolo personale. Poi si è chiuso nel mutismo più assoluto.
Preso il boss, ora è caccia ai fiancheggiatori che hanno permesso la sua latitanza, soprattutto nell’ultimo periodo. Potrebbe trattarsi di insospettabili, persone mai implicate in fatti di giustizia. La squadra mobile di Caserta diretta dal vicequestore Angelo Morabito, sta lavorando soprattutto sullo staff tecnico che ha realizzato il rifugio hi tech, non soltanto i manovali ma, soprattutto l’ideatore, un professionista altamente preparato, che ha progettato il covo, forse il più sicuro mai realizzato per garantire la latitanza di un boss. Gli investigatori sono fiduciosi, forse c’è già qualche sospettato. Per due giorni il rifugio super tecnologizzato di Michele Zagaria è stato ispezionato dagli agenti della Polizia scientifica casertana. Venti metri quadrati nei quali il boss ha vissuto per qualche settimana, dotato di tutto il necessario per vivere: un letto a una piazza e mezzo, libri sull’anticamorra, una tv da 40 pollici, tre giubbotti di pelle, un paio di orologi di marca, qualche migliaio di euro. Ai muri, un crocefisso in legno e un paio di santini di Padre Pio. Dall’ultimo covo del latitante gli agenti delle squadre mobili di Caserta e Napoli e dello Sco hanno portato via un hardware e un portatile. Il materiale informatico è stato poi consegnato agli esperti che ne lo analizzeranno. Nelle due memorie potrebbero essere custoditi, si spera almeno in parte, i segreti della cosca.
Probabilmente il boss, pur nascosto nel suo bunker a quattro metri di profondità, ha assistito in diretta alle fasi preparatorie al suo arresto. Nel suo covo, infatti, gli investigatori hanno scoperto un sofisticato sistema di video sorveglianza in grado di controllare quanto accadesse, non soltanto nel vicoletto dove si trova la villa che lo ha ospitato ma ben oltre. Una sorta di Grande fratello della camorra in grado di osservare anche oltre via Mascagni, addirittura le strade del centro e di accesso a Casapesenna. Gli investigatori, infatti, hanno trovato cavi estesi che fanno presupporre la possibilità di confluenza di immagini da svariate zone. È probabile che Zagaria abbia seguito dai monitor l’arrivo la notte di martedì dei 400 agenti che hanno cinturato mezzo paese e che poi hanno fatto irruzione, prima nella villetta di Vincenzo Inquieto (poi arrestato per favoreggiamento) e infine nel suo bunker. Ma la polizia questa volta ha vinto anche la sfida in chiave tecnologica contro la camorra. Gli investigatori hanno utilizzato nel corso dell’indagine apparecchiature in grado persino di '«trovare» fonti di calore a svariati metri di profondità, segno della presenza umana sotto terra.

Casapesenna è un paese in lutto, non solo qui dove è nato il boss ma anche gli altri centri dove la cosca casalese viene riconosciuta come l’unico «Stato» a cui ubbidire: Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Trentola Ducenta, Villa Literno, Castel Volturno. «Con don Michele ci sentivamo al sicuro. Adesso ci sarà la violenza come a Napoli, scippi e rapine» dice una donna. Un ragazzo dice senza mezzi termini «a noi garantiva il lavoro, ora chi ci aiuterà se sta in galera».

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