Occupazione, il Nord Italia batte l’Europa

All’estero la chiamano jobless recovery, cioè una ripresa senza lavoro. Un problema anche per l’Italia, almeno a sentire il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che nei giorni scorsi ha paventato un aumento della disoccupazione nei prossimi mesi. La debolezza del mercato del lavoro rischia, in effetti, di costituire il tema centrale del dopo-crisi, condizionando l’attuazione delle exit strategy (la rimozione delle misure di stimolo straordinarie) e, forse, la gestione della politica monetaria da parte delle banche centrali soprattutto se l’inflazione continuerà a restare fredda.
Non tutti i Paesi più industrializzati, tuttavia, partono dallo stesso livello di disoccupazione. Che, peraltro, può significare tutto e niente. Un 10% di senza lavoro rispetto alla popolazione attiva è un guaio per l’America, abituata a gestire percentuali ben inferiori e consapevole delle ricadute sui consumi provocate da troppa gente a spasso; per altri, quel 10% sarebbe invece un obiettivo da sottoscrivere subito.
E l’Italia? Come è messa? A rivelarlo è la Cgia di Mestre, con un’indagine dai risultati tutt’altro che scontati. L’associazione degli artigiani mestrini ha raffrontato il terzo trimestre 2008, periodo in cui il virus sub prime era diventato una patologia internazionale conclamata, con il primo trimestre di quest’anno. Ebbene, nel nostro Paese il livello di disoccupazione ha toccato il 7,9%, con una crescita dell’1,8% rispetto a luglio-settembre dello scorso anno. Ciò significa quasi due milioni di italiani privi di un impiego. Non sono certo pochi, ma nella vecchia Europa c’è chi sta molto peggio. La Spagna, vittima dello scoppio della bolla immobiliare che ha di fatto paralizzato il settore edile, deve fare i conti con una disoccupazione del 17,4%, il 6% in più rispetto a settembre 2008; la Francia è all’8,7% (+1,3%) e la Germania all’8,5% (+0,9%). Solo il Regno Unito registrava un tasso di disoccupazione inferiore al nostro, pari al 7,1% (+1,3%).
Trattandosi di medie nazionali, le differenze territoriali - spesso macroscopiche - rimangono sotto traccia. L’Italia, non è una novità, presenta da sempre una spaccatura evidentissima tra la forza lavoro al Centro-Nord e quella meridionale. Almeno secondo le statistiche ufficiali, che non tengono conto di quell’economia sommersa che, se riportata a galla, collocherebbe il nostro Paese al terzo posto nella classifica europea del Pil, come ricordato dal premier Silvio Berlusconi. Evitando quanto già noto, la ricerca ha preferito spostare il tiro in un’altra direzione, mettendo a confronto la percentuale dei senza lavoro nelle aree più industrializzate italiane con quella delle regioni più ricche d’Europa. Ebbene, nel marzo di quest’anno, il tasso di disoccupazione del Piemonte ha toccato il 7%, quello della Lombardia il 5%, nel Veneto il 4,7% e in Emilia Romagna il 4,1%, un livello sostanzialmente incomprimibile. Terribile la situazione della Spagna: in Catalogna i senza lavoro sono il 16,2%, nella Comunidad de Madrid il 13,5% e in Andalusia il 24%. Nelle tre regioni più ricche della Germania la disoccupazione è all’8,9% nella Nordrhein-Westfalen, il 5,1% in Baviera e il 4,8% nel Baden-Wurttemberg. In Francia, invece, nella Provenza-Alpes-Costa Azzurra è salita al 10,3%, nella Rhône-Alpes all’8,1% e nell’Île-de-France al 7,4%. Nel Regno Unito la regione londinese è all’8,2%, il South-West al 7,9% e il South- East al 5,3%. «Emerge in maniera molto chiara - commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre - che non siamo un Paese alla deriva, visto che quasi tutti i nostri principali partner economici stanno peggio».


La perdita di posti di lavoro rimane comunque un dramma da combattere. «Per questo - conclude Bortolussi - c’è la necessità di aiutare concretamente il mondo delle piccole e micro imprese che in questi ultimi decenni ha dimostrato di essere la vera spina dorsale dell’economia nazionale».

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