Cè un motivo - spiegano i giudici - se Omar Moreschi, il genero di «lady Gabetti», è stato assolto per insufficienza di prove dallaccusa di essersi arricchito con il business delle occupazioni abusive. Esiste il racket delle case popolari, di cui era accusato? Esiste, e si tratta «di una prassi di dilagante illegalità». Eppure, Moreschi è uscito pulito dal processo. Perché quasi nessuno ha fatto il suo nome, perché in quello spicchio di città a pochi passi dallospedale Maggiore cera «un clima di diffusa sfiducia - scrive il collegio presieduto da Concerta Locurto nelle motiovazioni della sentenza di assoluzione -, di indifferenza, se non vera e propria connivenza omertosa che, anche a causa di decenni di tolleranza da parte delle autorità di una prassi di dilagante illegalità, attraversa la testimonianza di gran parte dei cittadini residenti negli immobili di proprietà pubblica» di via Monti. Non solo paura, dunque. Ma anche isolamento. Senso di abbandono. Assenza dello Stato.
Anche per questo, il tribunale non ha potuto condannare Moreschi. Laccusa, nei suoi confronti, era di far parte di unassociazione per delinquere che - assieme a Giovanna Pesco e Anna Cardinale, condannate con rito abbreviato a pene fino a 3 anni e 4 mesi di reclusione - entrava nelle abitazioni del Comune, le occupava e le assegnava in cambio di denaro. E secondo il pm Antonio Sangermano, Moresco era quello che forzava gli ingressi degli appartamenti. Ma la ricostruzione della Procura, sottolineano ancora i giudici, «patisce i limiti di un risultato probatorio frammentario, in parte contraddittorio, complessivamente non sufficiente a dimostrare» le responsabilità dellimputato nella «prezzolata gestione delle occupazioni abusive» degli appartmenti in zona Niguarda. Perché più o meno tutti, in via Padre Monti, sembrano conoscere la realtà «per sentito dire, ma nessuno - o quasi nessuno - ha il coraggio di denunciare», se si esclude l«iniziativa coraggiosa (quanto isolata) di due privati cittadini»: uninquilina regolare e Frediano Manzi, il presidente dellassociazione «Sos Racket e Usura», protagonisti di «una logorante e frustrante battaglia per portare allattenzione delle Istituzioni (prima fra tutte il Comune di Milano) il dilagante fenomeno delle occupazioni abusive». Nelle motivazioni della sentenza, infine, il giudice descrive «un quartiere alla mercè di una diffusa situazione di illegalità» che «quasi nessuno ha avuto il coraggio di denunciare».
La replica di Palazzo Marino arriva immediata. «Non so a chi si riferisca il giudice quando nella sentenza parla di indifferenza delle autorità - polemizza il vicesindaco Riccardo De Corato -. Non al Comune, mi auguro. Che non solo è stato accolto parte civile nei processi contro il clan Pesco-Cardinale-Moreschi, ma ha sempre fatto il proprio dovere, denunciando abusi e illegalità allautorità giudiziaria ogniqualvolta abbia avuto segnalazione dai gestori delle case popolari». Il punto, per De Corato, è un altro.
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