(...) in una scuola materna comunale genovese, l'altra invece viaggia ancora nell'universo burocrazia per trovare un posto al proprio bambino in una scuola materna statale di Quinto. Succede anche questo in città. E la prova inconfutabile sono proprio io. Perché appena due giorni fa fingendomi una clandestina ucraina - senza appunto documenti e permesso di soggiorno -, ho iniziato a tempestare telefonicamente alcuni distretti scolastici per capire cosa accade, quando una madre clandestina si presenta o telefona agli uffici competenti, per chiedere che suo figlio venga accolto tra i banchi di scuola. Non accade nulla di particolare. Perché l'immaginaria signora Sputtin può regolarmente iscrivere il suo pargolo di tre anni in un asilo in città. Si aggiunga poi che per la suddetta signora si è scatenata una vera e propria gara di solidarietà, ottenendo nell'arco di pochi minuti e con una semplice telefonata, un posto in una materna vicino alla stazione Principe.
Insomma nulla di strano, direbbe qualcuno: «perché i figli dei clandestini hanno gli stessi diritti e doveri degli altri bambini». Però... C'è un però. Un rovescio di medaglia, una piramide insomma al contrario. Perché mentre la clandestina (ossia io) ottiene subito un posto a scuola, la giovane madre (per nulla inventata) rincorre orari, deve richiedere documenti e certificare vaccinazioni. Tanto da dover tornare nella sede scolastica ben quattro volte. Il tutto tra impegni di lavoro e di famiglia. Succede così che la signora di Quinto si presenta per iscrivere suo figlio di anni tre alla scuola materna statale «Fabrizi» nel levante cittadino, e iniziano i problemi. Innanzitutto la sede non è quella, ma in via Vecchi presso la direzione Palli. Poi, sebbene sia il 7 gennaio, giorno di apertura delle iscrizioni, non ci sono i moduli, che arriveranno soltanto dopo. Il pomeriggio la sede non è aperta. Solo il martedì dalle 14.30 alle 15.30. Mentre dal lunedì al venerdì l'orario - per altro inflessibile - è dalle 10 alle 12. Ma la signora lavora e la situazione si complica. Un giorno la mamma va alle 9.30, prima del lavoro, ma i moduli non glieli danno. E poi i documenti. Serve un po' di tutto, insomma quanto basta per accertare che il bambino sia in regola e soprattutto siano in regola suoi genitori. Occorre il codice fiscale del genitore e del bambino; un documento valido del papà o della mamma; i certificati di vaccinazione del piccolo e anche una dichiarazione di lavoro dei genitori. Serve ossia verificare che mamma e papà lavorino. E poi le tasse. Ah sì le tasse. Quella di iscrizione soprattutto, che tuttavia riguarda la scuola comunale, non quella statale. Perché se il reddito familiare supera i 35mila euro non si ha diritto ad alcun punteggio. Ciò che c'è da pagare, si paga e basta.
Resta comunque il fatto che la signora non è ancora riuscita a iscrivere il suo bambino. Mentre se io (alias Myriam Sputtin) avessi voluto, il bimbo era già iscritto. Dico se avessi voluto perché non ho nessun pargolo di tre anni da mandare a scuola. Invece la signora di Quinto, sì.
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