Ruggero Guarini
Da un pezzo la famiglia tradizionale è diventata la cosa meno tradizionale del mondo. Così poco tradizionale da sembrare una cellula sovversiva. Il moralismo laicista continua a immaginare che sia ancora un'istituzione conservatrice, una scuola di conformismo, un organismo naturaliter reazionario. Mentre è evidente che ormai è il solo luogo capace di opporre una resistenza tenace alla furia normalizzatrice dei tempi. E proprio questo è forse il principale dei molti motivi per cui oggi non occorre essere un cattolico osservante per capire che la Chiesa ha completamente ragione nel volerla difendere a ogni costo.
Negli ultimi due secoli la famiglia è stata vituperata o elogiata per gli stessi identici motivi. Sia i suoi apologeti sia i suoi nemici la consideravano il fondamento dell'autorità, una maestra di obbedienza e di disciplina, la cinghia di trasmissione dei valori della società circostante. E una volta era infatti lì, nella famiglia, che si impartivano le prime fondamentali lezioni di adattamento e di resa alle richieste dell'ordine esterno. Ma ormai non è più cosi. La famiglia ha perduto da tempo gran parte del suo antico potere educativo. Questo potere le è stato quasi completamente sottratto da una coalizione di poteri esterni (scuola pubblica, mezzi di comunicazione di massa, industria culturale, industria dello spettacolo, organi del pensiero unico politicamente corretto e tante altre fonti di persuasione più o meno occulta) che non cessano di erodere e neutralizzare la sua azione formativa sovrapponendole incessantemente il loro sempre più schiacciante insegnamento.
Quasi tutte le influenze esercitate sui bambini e i ragazzi doggi dal mondo che si spalanca al di là delle pareti domestiche sono oggi inviti a un gregarismo quasi sempre mascherato dall'effervescenza di un ribellismo di superficie. Musica, cinema, video, nuovi riti tribali a base di rock e droga, cause politiche e culturali i cui pretesi fini rivoluzionari appaiono smentiti puntualmente dallo spirito armentizio con cui vengono abbracciate e servite, una scuola pubblica decisa a rinunciare anche a quel poco che resta di un'istruzione che non sia di impiego immediato, pratico, funzionale a ciò che va sotto i nomi di crescita e di sviluppo: tutto ciò si configura come una grande fabbrica di servitù collettive. Una fabbrica al cui confronto la famiglia tradizionale appare ormai come una nicchia in parte refrattaria allo spirito dei tempi.
L'amore insieme fisico e spirituale degli sposi, il sogno della fedeltà coniugale, la pochade dell'adulterio, il dramma dei rapporti ambivalenti, impastati di amore e di odio, fra genitori e figli, o quello dei conflitti tra fratelli, sempre nutriti di affetto e di invidia, infine quel velo di pietosa, creaturale nostalgia che alla fine si stende su tutti gli aspetti, compresi quelli più tragici comici tragicomici e spesso perfino loschi, dellantica, primordiale, eterna drammaturgia familiare: tutto insomma quell'intreccio di esperienze formatrici che può svilupparsi soltanto all'interno della cellula familiare, di fronte alla forza addomesticatrice di una società sempre più prepotente e opprimente, e soprattutto sempre più governata dal miraggio di un'universale correttezza etico-politica, oggi appare come una preziosa ancorché involontaria fucina di ogni carattere individuale indipendente, libero, maturo, irriducibile, e per ciò stesso abitato da un seme di sovversione.
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