Oggi presidio della Lega: «È un’altra via Quaranta»

Protestano anche An e Forza Italia. De Albertis: «Intervenga la giunta». Maiolo: «Tolgano il velo alle bambine»

Tra la scuola illegale di via Quaranta e quella di via Ventura c’è un comune denominatore: essere un ghetto, non aiutare cioè l’integrazione ma creare viceversa una generazione chiusa in un’identità protetta. Rischio denunciato dalla politica ambrosiana che, stamani, alle dodici si dà appuntamento in quell’angolo di Lambrate dove, ieri, nove classi (elementari e medie) hanno iniziato le lezioni.
Presenza per accertarsi che «le regole» siano applicate nelle aule di via Ventura, con la speranza che non sia il replay di via Quaranta: «Massima severità e controlli continui sulla didattica perché non diventi una scuola per piccoli terroristi» annota l’assessore comunale Carla De Albertis. Impegno di un amministratore consapevole che «l’apertura della scuola è nelle mani del ministero dell’Istruzione» e che «al Comune spettano solo più le verifiche tecniche».
E su questo fronte l’assessore De Albertis reclama «un intervento della giunta, che non ha mai sinora affrontato la questione». Argomento «tabù» nonostante, aggiunge De Albertis, non ci sia «uno straccio di autorizzazione all’apertura della scuola da parte del ministero e del suo rappresentante milanese, il provveditore Mario Dutto». Assenza di «autorizzazioni» ammessa pure dal Provveditorato, che infatti starebbe ancora valutando la regolarità dell’istituto.
E mentre il leghista Matteo Salvini chiosa che «la scuola di via Ventura andrebbe già chiusa e mai più riaperta» poiché «l’avvio delle lezioni è avvenuto anche in mancanza del riconoscimento ufficiale», dalla Regione interviene il capogruppo del Carroccio Davide Boni: «La situazione non è cambiata né trasferendo la scuola da via Quaranta a via Ventura, dal sud Milano a Lambrate, né verniciando porte e persiane: il problema non è tanto l’agibilità o l’autorizzazione ma ciò che viene insegnato a questi bambini con programmi scolastici alquanto discutibili». Come dire: occorre fare chiarezza sui programmi d’insegnamento, la priorità deve rimanere per l’italiano e la materie italiane.
Linea, quest’ultima, sottoscritta pure da Alleanza nazionale richiamando i responsabili della scuola islamica di via Ventura a «non dimenticare che dev’essere uno strumento per l’integrazione dei bambini nella nostra società» ovvero, sostiene Roberto Alboni, capogruppo regionale, «i figli degli immigrati devono studiare la lingua e la letteratura italiana per evitare di essere ghettizzati nella nazione che li ospita, dove non possono comportarsi secondo regole e tradizioni di un paese in cui non vivono più».
La pensa così anche l’assessore Tiziana Maiolo: «Sarebbe un bel gesto da parte della comunità islamica milanese cominciare a togliere il velo alle bambine». «Liberazione» indispensabile, fa sapere la responsabile nazionale di Forza Italia per i diritti civili, perché «chi va in un paese che non è il suo deve prima di tutto rispettarne non solo le leggi ma anche la cultura e il progresso nei rapporti tra le persone». Invito di chi «non vede la necessità di aprire una scuola islamica» non perché «i bambini di altre etnie, nazionalità e credo religiosi non abbiano diritto a mantenere le proprie radici» ma perché «insieme ai diritti ci sono anche i doveri».


Obiettivo che non sfugge neppure a Marilena Adamo, capogruppo dell’Ulivo a Palazzo Marino, che suggerisce «ai genitori egiziani di dimostrare senso di responsabilità». Altrimenti? Non c’è alcuna differenza tra via Ventura e via Quaranta: in entrambi i casi, il rispetto delle regole è solo un’opzione.

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