«In ogni altro Paese il premier si sarebbe dimesso»

Anna Maria Greco

da Roma

Per Silvio Berlusconi, l’ «episodio gravissimo» della vicenda Telecom deve indurre il premier Romano Prodi ad un passo indietro.
Il Cavaliere interviene con una lunga telefonata a un incontro organizzato da Forza Italia a Cortina d’Ampezzo e allo scontro tra il Professore e l’ormai ex-presidente della società telefonica, Marco Tronchetti Provera, dedica solo poche frasi. Ma pesanti come pietre.
«Quanto successo - dice il leader dell’opposizione - è qualche cosa che in Europa o in altre democrazie occidentali porterebbe alle immediate dimissioni del capo del governo».
Berlusconi esprime una preoccupazione che va oltre il riassetto della Telecom con lo scorporo di Tim. «Si stanno preparando - avverte Berlusconi - altri “espropri” nei confronti degli imprenditori. Questo è un governo che governa contro gli italiani e noi dovremo mettere fine al più presto a questa esperienza».Questa maggioranza, aggiunge, indurrà anche Ds e Margherita, che sono aperti al libero mercato a valori condivisi con la Cdl, ad accettare «i diktat dell’estrema sinistra».
Il presidente azzurro invita dunque i suoi a reagire, ricompattandosi, per ostacolare i piani del governo. E il centrodestra alza la voce, facendo sapere a Prodi che dovrà venire lui in Parlamento a chiarire la vicenda, non un suo ministro. Altrimenti, sarà necessaria una commissione d’inchiesta. Sandro Bondi, coordinatore di Fi, sostiene che da parte della magistratura c’è una disparità di trattamento. Se al posto di Prodi ci fosse Berlusconi, dice dal convegno sulle Dolomiti, «la procura di Milano avrebbe già aperto un fascicolo per associazione per delinquere finalizzata alla speculazione, aggiotaggio e interessi privati in atti di ufficio». Invece, nessun pm si è mosso, mentre emergono fatti che dimostrano come «non abbiamo un Consiglio dei ministri, ma un consiglio di amministrazione: Palazzo Chigi è una banca d’affari che fa impallidire quella di D’Alema». Bondi si riferisce anche al ruolo di Angelo Rovati, il consigliere economico di Prodi, che ha fatto avere a Tronchetti da palazzo Chigi il piano di riorganizzazione di Telecom. «Ha spiegato che la proposta era sua e che Prodi non ne sapeva niente. O Rovati mente o mente Prodi. Non so perché, ma sono portato a credere che mente Prodi». Cose che, secondo Bondi, fanno toccare un livello di indecenza e moralità nella vita pubblica» mai toccato in Italia dal dopoguerra.
All’origine di questo scandalo, secondo il vicecoordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto, c’è la «privatizzazione anomala tenuta a battesimo dalla merchant bank di Palazzo Chigi del periodo D’Alema, che appoggiò la scalata di “capitani coraggiosi di Colaninno” che la realizzavano senza avere capitali, ma con l’appoggio del governo e di qualche banca». Adesso sarebbe subentrato «un altro e più aggressivo centro di potere, quello di Prodi-Rovati» che ha destabilizzato una grande impresa privata e ha provocato «atti torbidi nei mercati» anche nei confronti di altre imprese.
Il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, si rallegra che il premier sia «rinsavito» e che il governo si dica ora disponibile ad un’informativa parlamentare sul caso Telecom da parte dei ministri competenti, ma annuncia che domani, nella Conferenza dei capigruppo al Senato, sarà ribadita la richiesta che sia Prodi e non altri a presentarsi. «Non sia arrogante - incalza il leader Udc, Lorenzo Cesa -, ha il dovere di essere chiaro e di non lasciare la pur minima ombra sul suo operato». «Deve confessare», taglia corto il leghista Roberto Calderoli. Se non accetta, per il segretario DcGianfranco Rotondi e Adolfo Urso di An, ci vuole la commissione parlamentare d’inchiesta. «Prodi non deve avere paura del Parlamento. Deve venire a riferire lui stesso e non altri, perché suo è il consigliere economico che ha proposto a Tronchetti Provera il progetto di nazionalizzazione di Telecom». Afferma l’azzurro Renato Schifani.

Ma Prodi dovrebbe dire la verità sul caso Telecom anche all’Ue, secondo il capogruppo azzurro all’europarlamento Antonio Tajani. «L’11 ottobre, chiamato a parlare sul futuro dell’Ue, faccia sapere se crede nel libero mercato o nel dirigismo e nello statalismo».

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