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«A ogni viaggio diceva: non rischio»

da Brescia

«L’ultima volta l’abbiamo visto in gennaio, quando siamo andati a trovarlo a Gedda. Ogni tanto gli facevamo la sorpresa». Maura Mari ha lo stesso nome del fratello. Vive nel Vicentino. Da Brescia, città d’origine della famiglia, se n’è andata anche lei, ma solo per fare pochi chilometri, cambiare provincia, non continente. «Il sogno di Mauro è sempre stato quello di viaggiare - esclama -. Lo ha sempre fatto anche prima di trasferirsi definitivamente in Arabia. Anche quando era in Italia e viveva a Roma, faceva lo skipper e girava il mondo in barca a vela». Un certo giorno però non è più tornato. «Già, ha conosciuto quel principe arabo, lo stesso proprietario della barca sulla quale è stato ucciso. È andato a lavorare per lui, gestiva le sue imbarcazioni».
Raramente tornava in Italia, l’ultima volta nel 2006 a Roma dove vive il figlio avuto dal primo matrimonio e ormai 27enne. «Però ci sentivamo spesso, via internet oppure al telefono. Mi diceva che si trovava bene, anche con il lavoro. Ma lui ci ha sempre rassicurato tutti, anche in passato quando partiva per qualche viaggio in barca», sottolinea Maura.
La morte del fratello è tutt’ora anche per lei un mistero: «Probabilmente lunedì prenderò un aereo per l’Arabia». Quello che sa è che quella barca, il Gharib, era stata costruita una dozzina di anni fa nei cantieri navali di Venezia e che «Mauro era stato in laguna per sovrintendere alla realizzazione e al varo. Quanto poi a questi giorni, mi risulta che la barca fosse in Turchia e che dovesse trasportarla a Gedda. Non so come sia finito su quell’isola greca».
Che tipo era Mauro Mari, morto ammazzato in una specie di arrembaggio a metà tra i romanzi di Salgari e la fine di Peter Blake, l’uomo che conquistò la Coppa America e poi finì scannato dai «pirati» in Amazzonia? «Era uno sicuro di sé, ma anche allegro, giocoso con i suoi e i miei figli.

Era uno che portava la luce dovunque andasse».

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