Roma «Un attacco concentrico. Appena si chiude un fronte, immediatamente se ne aprono altri due». In una domenica trascorsa a Villa San Martino tra le telefonate con gli avvocati (per studiare le possibili evoluzioni dell’affaire) e quelle con alcuni dirigenti del Pdl (per le ultime limatura alla manovra), Berlusconi non pare recuperare il buon umore. Nonostante il provvedimento sui conti inizi a prendere una forma che lo convince decisamente di più. Dopo i ritocchi degli ultimi giorni, infatti, sul fronte dell’evasione fiscale la manovra sta diventando meno da Stato di polizia, come evocato da molti nel Pdl (ieri la Santanchè) e come auspicato dallo stesso Cavaliere. Ecco perché, al momento, l’intenzione è quella - almeno al Senato - di non mettere la fiducia a meno che non sia strettamente necessaria. Un manovra da ben 50 miliardi, confida ai suoi, che è nell’interesse del Paese e decisamente contro i miei visto che nel 2013 si vota.
Il premier, dunque, sa bene che le prossime settimane rischiano di essere decisive visto che si andranno ad accavallare questioni - per versi diversi - tutte delicatissime. Dal provvedimento sui conti, al voto della Camera sull’autorizzazione all’arresto di Milanese (in calendario il 16 settembre) passando per gli sviluppi dell’inchiesta di Napoli. Una miscela che potrebbe essere esplosiva e sulla quale, è la sensazione del premier, c’è già chi sta puntando tutto nella speranza di dare la spallata al governo. Non si spiegherebbe altrimenti, ragiona Berlusconi in privato, l’affondo arrivato dal workshop Ambrosetti. In troppi, infatti, hanno evocato la necessità di un governo tecnico, con Passera che ieri ha illustrato la sua ricetta dalle colonne del Corriere della Sera. Scontato, dunque, un certo fastidio del premier verso il cosiddetto club di Cernobbio. Verso - si è lasciato sfuggire con i suoi - «questi profeti di sventura che parlano dell’Italia come fosse l’Angola». E a chi dice di aver pronta la ricetta per risolvere tutti i problemi, Berlusconi preferisce non rispondere. Ma come la pensa non è un mistero: sono anni - spiegava qualche giorno fa a un ministro - che questo o quello annuncia la sua discesa in politica, speriamo arrivi la volta buona così vedremo come finirà quando si misureranno con l’elettorato.
Insomma, non è un caso che, pure invitato a intervenire alla tre giorni a Villa d’Este, il premier abbia deciso di declinare l’invito già un mesetto fa.
La punta dell’iceberg di quello che il Cavaliere definisce un «attacco concentrico» è dunque la ripresa della corsa al governo di interesse nazionale. Perché, per dirla con le parole del vicecapogruppo del Pdl alla Camera Corsaro, «la volontà di provare a sostituire alla politica qualcos’altro è chiara e precisa». Una via, spiega, impraticabile. «Raggiunto il pareggio di bilancio - dice Corsaro - siamo disposti a impegnarci su interventi straordinari per ripianare il nostro debito pubblico. Ma questo può farlo solo un governo politico». Insomma, come ripete spesso Berlusconi, «l’unica alternativa a questo esecutivo è il voto».
Ed in questo quadro che scricchiola ma sembra reggere la tregua tra il Cavaliere e Tremonti.
Se non altro perché ai tanti fronti aperti del premier si sommano quelli del ministro dell’Economia. Nonostante l’intenzione di Berlusconi di intestarsi il merito della marcia indietro su una manovra un po’ troppo alla Visco.