Le Olimpiadi antagoniste fanno flop e Rifondazione brucia le bandiere Usa

Soltanto trecento irriducibili in piazza: in fiamme un’auto, cassonetti e il vessillo a stelle e strisce

Cristiano Gatti

nostro inviato a Torino

Le altre Olimpiadi. Due teste di maiale immerse in una vasca di Coca Cola: attorno, strani scienziati vestiti di bianco spiegano che l'imperialista bibita «corrode e corrompe». Pochi metri più in là, altri contro-Giochi: due bandiere a stelle e strisce vengono bruciate, come in una Bagdad o in una Gaza savoiarde. Sullo sfondo, la grande coreografia: oltre agli striscioni classici dei programmi di vita («Contro l'alta velocità, studiare con lentezza»), ne compare uno fresco di pittura. Lo calano in verticale dal sesto piano dell'Università, intorno a mezzogiorno: arriva fino al pianterreno e spiega a lady Bush, attesa questa mattina dal rettore, che il conflitto abita qui, però nella sua lingua, perché comprenda bene: «Conflict lives here». Caso mai non fosse chiaro, c'è anche la lettura di un comunicato: «Speriamo che questo gesto simbolico arrivi ai mass-media arabi, perché si sappia che non tutti sono d'accordo con i governi della guerra...».
Guardando verso l'alto, si può intravedere la guida alpina Alberto Re che si cala dalla Mole Antonelliana con la fiaccola dei Giochi normali, veri, ufficiali. Ma le altre Olimpiadi non concedono distrazioni. Ecco arrivare da un lungo itinerario cittadino - anche questo dicesi alternativo, o antagonista - la controfiaccola: dopo aver toccato i diversi punti dell'okkupazione urbana, è portata qui dagli anarchici per la simbolica accensione. Non di un braciere, come allo stadio. Nelle contro-Olimpiadi si dà fuoco a un gigantesco spinello di cartapesta e a qualche bandierina degli sponsor multinazionali.
Tra gli organizzatori delle altre Olimpiadi c'è molta soddisfazione: messi assieme quelli del presidio e quelli arrivati dal corteo, saranno due o trecento in tutto. Ma bastano, ormai da giorni, per ottenere una visibilità mostruosa e per mantenere sotto scacco l'avvenimento planetario. «Una vera porcheria», dicono i torinesi che assistono alla scalata della Mole, appena più in là. E la Polizia? In mezzo, per evitare che le due Torino e le due Olimpiadi, vicinissime, entrino in contatto. Basta poco tempo: mentre la fiaccola del mito sfuma in lontananza, ultimando il suo viaggio verso lo stadio, le altre Olimpiadi proseguono in corteo fino a Porta Palazzo, perdendosi nella penombra serale che comincia ad oscurare la città. Più tardi, qualche irriducibile si esibirà in notturna incendiando un paio di cassonetti e un’auto, perché non si dica che tutto è filato liscio.
Cosa resta, di questa giornata? Qualche catena sequestrata agli autonomi in corteo, i soliti slogan, quelle bandiere americane bruciate con disprezzo. Ma sin qui restiamo nel consueto. A ben vedere, l'immagine che colpisce davvero è un'altra. Altre bandiere, le presenti in maggior numero, bandiere di un partito che fra due mesi vuole governare il Paese: Rifondazione Comunista.
Sì, è sicuramente questo il segnale più eclatante delle altre Olimpiadi. Ancora una volta, Torino rivela all’Italia intera il problema Bertinotti: a Roma rassicura gli alleati Prodi e Fassino prendendo qualche distanza dalle contro-Olimpiadi, ma a Torino lascia che la sua bandiera sventoli sulle teste di maiale immerse nella Coca Cola, sulle stelle e strisce bruciate, sugli agguati lungo il percorso della fiaccola. Con un dettaglio che tutti, stranamente persino il centrodestra, continuano a trascurare: Rifondazione non sfila soltanto «in appoggio», o «a sostegno», ma è tra gli organizzatori delle contro-Olimpiadi. In altre parole Bertinotti sta raccontando agli alleati, ma chiaramente anche all'intero elettorato, di aver preso le distanze da se stesso. Un'acrobazia con triplo salto mortale.
Sono i misteri italiani. Come il segretario possa dirsi contrario al boicottaggio dei Giochi, lasciando che il suo partito ne sottoscriva il boicottaggio, dovrebbero a questo punto spiegarlo i suoi alleati, convinti di governare con lui entro due mesi. Un'attendibile spiegazione continua a ripeterla il sindaco torinese Sergio Chiamparino, che a maggio correrà per le amministrative, ma che è giunto da tempo a questa conclusione: non vuole nemmeno più sentir pronunciare il nome di Bertinotti. «Nessuna alleanza, con chi a Torino si è messo contro le Olimpiadi». L'esponente diessino (e va sottolineato che è diessino, non ex democrsitiano) lo ripete praticamente ogni giorno, di fatto lanciando allarmanti segnali verso Roma, ma del tutto inutilmente. Là si compiacciono di rispondere che in fondo il matrimonio è d'interesse, sui programmi, non certo sulle idee. Persino Mastella, agli antipodi sui grandi princìpi, la racconta così. Ma si dà il caso che proprio un problema molto pratico e concreto, i Giochi olimpici, stia fornendo il formidabile test sulla tenuta dell'alleanza. E il risultato è tenuta zero, senza possibilità di rimettere insieme i cocci.
Ha un bel dire, l'insolitamente deciso Prodi, quando pretende rispetto da parte di tutti per le Olimpiadi. È fatica eccessiva: l'indignato appello non andrebbe rivolto genericamente al mondo intero, ma potrebbe tranquillamente fermarsi in casa sua.

La domanda che ci si pone, almeno tra gli elettori ancora tiepidi e indecisi, è esattamente questa: può Prodi chiedere al suo alleato di togliere la firma dalle contro-Olimpiadi e di togliere le bandiere dai cortei? E se non può fare questo, come può pensare di chiedergli tutto quanto serve a tenere in piedi un governo?

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