Scampato pericolo. Per fortuna le Olimpiadi non si faranno più a Roma. Già, per fortuna. Perché altrimenti avremmo avuto sicuramente più probabilità di trovarci di fronte ad un’altra voragine nel bilancio dello Stato che di festeggiare in casa qualche medaglia.
Ricordate gli sprechi di denaro pubblico dei mondiali di calcio di «Italia 90»? Troppo lontani per farci male ancora? Allora andiamo solo indietro di pochi anni, e fermiamoci alle «favolose» Olimpiadi Invernali di Torino 2006 quando Torino, questo lo slogan, era la città «che non si ferma mai». Si fossero fermati, almeno un attimo a riflettere, non tanto Torino ma i suoi amministratori e i plenipotenziari del Toroc che hanno gestito la fallimentare impresa, beh ora molta, troppa gente non si troverebbe in braghe di tela. Per Roma 2020, andavano dicendo, fino a poche ore fa, i vari olimpici supporter, servivano soltanto oltre 8 miliardi di cui 4,7 sarebbero dovuti arrivare dallo Stato e dei 3,5 dai privati. Il film dell’ottimismo, perché, evidentemente, gli olimpici supporter non consideravano l’esempio di Londra 2012, che hanno proprio sotto gli occhi. Oltremanica i costi per l’organizzazione dell’evento sono già passati dai 10 miliardi previsti a 14, mentre per quanto riguarda gli sponsor chi a Roma pensava di incassare 3,5 miliardi di elargizioni forse non sa che ancora a Londra non si è andati oltre 2,5 miliardi di aiutini. Provate dunque ad immaginare chi avrebbe dovuto ripianare i conti se la raccolta di sponsorizzazioni fosse stata scarsa anche a Roma. Lo Stato, sì lo Stato, quindi noi.
E un altro esempio illuminante di fallimento arriva dai Mondiali di nuoto del 2009, organizzati proprio a Roma, sui quali sta indagando la magistratura. Per un semplice motivo: capire che sono stati spesi i 400 milioni di euro di budget visto che l’ambiziosa Città dello Sport di Tor Vergata che avrebbe dovuto rappresentare la sede privilegiata dell’evento oggi è null’altro che un’opera incompiuta e i nuotatori mondiali furono costretti a immergersi nelle vasche del Foro Italico.
A sei anni dalle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 può essere, quindi, interessante tracciare un bilancio dell’«eredità olimpica». Non solo non c’è stato un ritorno economico ma le cifre sono diventate iperboliche. Pista di Cesana 77,3 milioni di euro, Ski jumping di Pragelato 36 milioni, pista di fondo di Pragelato 20 milioni, Freestyle di Sauze 9 milioni di euro, Atrium Piazza Solferino 12 milioni, impianto biathlon San Sicario 25 milioni. Oltre 190 milioni per sei strutture che hanno anche fatto scempio del paesaggio alpino.
Il Toroc ha chiuso la sua scandalosa gestione con 25 milioni di euro di passivo anche grazie alla elargizione di oltre 40 milioni di euro di «consulenze» ed «incarichi professionali» e la Fondazione XX Marzo, nata per gestire tutto il sistema del «post-olimpico», dopo avere ripetutamente assicurato all’indomani delle Olimpiadi, che si sarebbe arrivati a un surplus economico, si è accorta che «il post olimpico» ha causato invece un deficit di 6 milioni di euro. Già, perché la pista di bob, costata 61,4 milioni di euro, ha chiuso i battenti a causa dell’incapacità gestionale del Comitato Olimpico, prima, e della Fondazione XX Marzo, poi, che non hanno saputo arginare una perdita annua pari a un milione e mezzo di euro. Stessa sorte della Pista di bob di Cesana e per l’impianto di Ski Jumping di Pragelato: l’impianto giace abbandonato a se stesso e oltre a ciò è in condizioni tali da poter rappresentare un sensibile rischio per coloro che intendono avventurarsi nelle sue vicinanze. Il costo di manutenzione è pari ad 1,16 milioni di euro. E anche il Resort di Pragelato, struttura alberghiera con 120 posti letto utilizzata esclusivamente nel periodo della maratona olimpica, oggi è chiuso. Sapete come si è corsi ai ripari? La Fondazione XX Marzo ha passato tutto nelle mani del colosso americano Live Nation. L’agenzia statunitense ha rilevato il 70 per cento degli impianti del Parco olimpico per un totale di 2.150.000 euro, ovvero appena lo 0,4 per cento del costo degli stessi. Vale a dire che il Parco olimpico è stato letteralmente svenduto agli americani.
«Il governo ha tenuto conto più dell’aspetto concreto che di quello emotivo. Non posso essere in disaccordo con Monti», ha commentato ieri Evelina Christillin, vicepresidente proprio di quel Toroc che organizzò i Giochi di Torino 2006, in un’intervista a Panorama.it. E ha aggiunto, folgorata sulla via della resipiscenza: «Come dare torto al governo. Nessuno nel 2004 avrebbe pensato ad Atene che le cose sarebbero finite così. Furono Olimpiadi meravigliose solo che invece di spendere 5 miliardi ne hanno tirati fuori 13.
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