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Oliveira: «Ecco perché ho scelto il 7 di Sheva»

Gian Piero Scevola

L’oggetto misterioso non è più tale. Il roboante acquisto dell’ultima ora in casa Milan, quello che non si è però registrato, la new entry che aveva fatto mugugnare molti, questa volta ha lasciato tutti a bocca aperta: tifosi, compagni di squadra e anche avversari. Perché Ricardo Oliveira, il 26enne talento brasiliano al debutto con il Milan e con il calcio italiano, ha subito lasciato il segno: un gol di testa e altri due sfiorati. Soprattutto quello creato dopo un vorticoso contropiede, una fuga palla al piede, due avversari saltati in area come birilli (con Kakà che alla sua sinistra gli supplicava il pallone) e Peruzzi costretto a un intervento con la mano sinistra che definire miracoloso è ancora riduttivo.
Ma questo è Ricardo Oliveira, la sorpresa brasiliana acquistata dal Betis Siviglia per 17 milioni più Vogel (valutato altri 4). Non uno sprovveduto, dunque; non uno sconosciuto come etichettato da troppi pseudoesperti, ma un giocatore che si era conquistato un posto nella Seleçao di Carlos Alberto Parreira al fianco dei vari Ronaldinho, Kakà, Ronaldo, Adriano, ma che un destino maledetto ha bloccato nello scorso dicembre, a un passo dal sogno. Già, perché questo signor Oliveira, terzo cannoniere nella Liga 2005 dietro a Forlan ed Eto’o con 22 gol, si era frantumato un ginocchio proprio in dicembre e allora addio ai sogni di gloria e a tante belle speranze. Carriera finita o quasi, legamenti da ricostruire, insomma un autentico calvario che solo un uomo vero, dai grandi ideali e da una ancor più grande forza morale, avrebbe potuto sopportare. Oliveira ce l’ha fatta, Oliveira non voleva chiudere la carriera nel Betis Siviglia senza lasciare un segno tangibile nel calcio che conta. E quando, a sorpresa, s’è fatto avanti il Milan che non riusciva a raggiungere Ronaldo - l’obiettivo primario -, Oliveira ha subito risposto sì, senza indugi, con l’entusiasmo di un bambino e senza stare troppo a pensarci su.
La trattativa più veloce della luce; il blitz a Milano per le visite mediche brillantemente superate nell’officina spaziale di Milanlab; l’arrabbiatura del presidente andaluso De Lopera che prima si è sentito scavalcato e poi s’è inventato una precedente trattativa con lo Zenit San Pietroburgo per alzare il prezzo. E qui si finisce nella farsa, perché il Milan respinge il mercanteggiamento, il ds Braida rientra da Siviglia a Milano, salvo poi ritornarci un paio di giorni dopo per chiudere la trattativa. E l’erede di Shevchenko s’è ritrovato a Milano pretendendo di indossare, in modo un po’ presuntuoso, la stessa maglia di Sheva, quel numero 7 pesante come una montagna. Scetticismo, qualche sorrisino ironico, che da ieri è scomparso: l’ucraino ora al Chelsea ha trovato l’erede più degno (e inaspettato) e se ne sono accorti anche Ancelotti e i compagni, ma soprattutto i tifosi, l’intero vecchio caro San Siro che ad un certo punto ha intonato il nome di Oliveira, ritmandolo quasi a ritmo di samba.
E lui, sorpreso (non troppo, però) e modesto, s’è goduto il trionfo, accomodandosi prima nella saletta antidoping, per poi lasciarsi andare a una gioia incontenibile: «È stato importantissimo l’aiuto dei compagni, del tecnico e dei tifosi. Ho seguito i consigli di Tassotti che mi diceva di aiutare la squadra anche in difesa, ecco perché ho fatto quel contropiede micidiale. Ho scelto il 7 di maglia, ma non è un fatto casuale: l’ho voluto fortemente, ho la convinzione di fare bene come Shevchenko, ma non facciamo paragoni, io sono io e lui è lui. Voglio che la gente mi riconosca e mi ricordi in futuro come Oliveira e non come quello che ha preso il posto dell’ucraino».

Bando alle chiacchiere, Sheva ha trovato l’erede e rischia di passare nel dimenticatoio.

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