Gian Micalessin
da Safed (Nord Israele)
Dopo il sangue di Bint Jbail ora la battaglia è ai vertici dIsraele. Lidillio tra i generali e lesecutivo di Ehud Olmert e Amir Peretz, un premier e un ministro della Difesa senza alcuna esperienza militare, è già finito. Il primo scontro aperto si consuma allinterno del Consiglio di Sicurezza. Allindomani della fallita offensiva su Bint Jbail - costata la vita di otto assaltatori della Golani e il ferimento di due dozzine di loro compagni - i generali pretendono maggior libertà dazione, chiedono più truppe, invocano una massiccia operazione di terra, pretendono di colpire anche il territorio di Damasco. Olmert e Peretz li mettono a tacere con un triplice «niet». No agli attacchi a Damasco, no a uninvasione, no a un vasto richiamo di riservisti. Lunica concessione è la messa in stato dallarme della riserva e un ampliamento delle operazioni aeree. Due misure insufficienti a cambiare la natura del conflitto. La messa in stato dallerta di tre divisioni di riservisti è ben diversa dal richiamo chiesto dai generali. «La chiamata serve solo a tener pronte le forze per i possibili sviluppi e a garantire il ricambio degli effettivi, ma il loro impiego richiederà un successivo via libera del governo», fa notare lufficio del premier subito dopo la riunione. Quei riservisti non potranno, insomma, venir utilizzati senza lautorizzazione dei politici. Il governo non ha comunque alcuna intenzione di mettere un freno alle operazioni in corso. «La conferenza di Roma e la mancata richiesta di un immediato cessate il fuoco ci autorizzano a continuare le operazioni contro gli Hezbollah», ripeteva ieri Haim Ramon, il ministro della Giustizia considerato il ventriloquo di Olmert. Quelle operazioni non possono però diventare né invasione, né occupazione. Devono restare, come pretendono Peretz e Olmert, incursioni selettive e localizzate. Anche lintensificazione delle operazioni aeree è per i generali una concessione puramente illusoria. Missili e bombe intelligenti resteranno inefficaci - ripetono i comandi - fino a quando i civili non abbandoneranno città e villaggi sotto la pressione di una massiccia avanzata di terra. «Noi siamo un esercito con una morale - ricorda al comando settentrionale di Safed il generale Shuki Shahar, vicecomandante del fronte nord - spesso siamo costretti a sospendere operazioni già pianificate per non mettere a repentaglio vittime innocenti».
Il nocciolo della questione, il cuore dello scontro tra militari e civili è però lo smacco di Bint Jbail. Quel rovescio dopo i trionfali comunicati che annunciavano la conquista della città è una ferita aperta e rischia dincrinare la compattezza di un paese compatto intorno al proprio governo (un sondaggio pubblicato ieri rivela che il 95% degli israeliani appoggia loperato di Olmert). Per evitarlo qualche ministro è già pronto a offrire la testa dei generali. «Ai vertici della difesa manca un comando capace di decidere, basta con le chiacchiere, abbiamo bisogno di qualcuno in grado di dare ordini. Per ora gli unici in grado di farlo siamo noi», ripete un esponente di governo convocato da Olmert mercoledì notte per un vertice super riservato. A rinfocolare le critiche ai generali durante la riunione del Gabinetto di Sicurezza ci pensa lineffabile Haim Ramon. «Un villaggio come Bint Jbail occupato ormai solo dai combattenti di Hezbollah - tuona il ministro - doveva essere martellato con laviazione e lartiglieria prima dellattacco».
I comandi militari replicano accusando i politici dimporre condizioni impossibili, costringendoli a combattere con le mani legate e senza chiari obbiettivi. La prima condizione impossibile, per i generali, è l'ordine di non occupare alcuna posizione limitandosi a distruggere capisaldi e arsenali nemici. La seconda è quella che impone di mantenere aperto un corridoio per consentire la fuga dei civili.
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