 
Dopo la scarsa partecipazione alle recenti elezioni regionali delle Marche, Calabria e Toscana, e considerando che da 10 anni il trend dell'affluenza continua ad essere negativo, ci si interroga come riportare i cittadini alle urne, anche in vista delle prossime elezioni politiche del 2027.
Gli astenuti rappresentano oggi una nuova maggioranza silenziosa, politicamente viva ma istituzionalmente spenta: un italiano su due è iscritto al "partito dell'astensione". È quanto emerge dallo studio condotto dall'Istituto Noto Sondaggi per Il Giornale, che fotografa un'Italia divisa quasi a metà tra chi continua a esercitare il diritto di voto (48%) e chi invece lo ha abbandonato, del tutto o in parte (52%). Gli astenuti, però, non sono tutti uguali. Il fenomeno riguarda in misura maggiore le donne (62%) rispetto agli uomini (38%) e colpisce soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni (41%), mentre solo un quinto degli over 55 (20%) si dichiara lontano dalle urne.
Colpisce però un dato inatteso: anche tra chi non vota, la politica non è del tutto assente. Il 40% degli astenuti, se ipoteticamente fosse obbligato a votare, sceglierebbe un partito della coalizione di governo, mentre un terzo (33%) si riconoscerebbe nell'opposizione. Non si tratta dunque di un rifiuto totale del mondo politico, ma di una distanza di rappresentanza: molti cittadini continuano a coltivare un'identità politica, ma non trovano nei partiti un canale attraverso cui esprimerla.
Tra i leader che godono di maggiore simpatia tra gli astenuti, Giorgia Meloni risulta la più apprezzata con il 22% delle preferenze, seguita da Giuseppe Conte (18%) e da Elly Schlein (16%). Dietro di loro si collocano Matteo Salvini e Antonio Tajani (entrambi all'11%), Carlo Calenda (10%). Il fatto che la premier Meloni risulti la più gradita anche tra chi non vota indica che una parte di elettorato "silente" continua a riconoscersi nel suo profilo, pur restando distante dall'atto del voto. Questo è un indicatore sia positivo per la premier perché evidenzia che ha un bacino potenziale di aumento del consenso su cui puntare, sia negativo in quanto non riesce a trasformare l'apprezzamento degli astenuti in consenso. Questo problema è ancora più evidente per il leader del 5S Conte, riceve ammirazione dal 18% degli astenuti che non diventa voto al suo partito.
Le ragioni della non partecipazione sono molteplici ma convergono tutte in una parola: sfiducia. Tre italiani su dieci (30%) spiegano la propria scelta con la "scarsa fiducia nella classe politica". Quasi uno su quattro (24%) afferma che "nessun partito rappresenta le proprie idee", mentre il 17% ritiene che "non cambi nulla votare". Insomma gli italiani non votano non perché non si interessano, ma perché non credono più che serva.
L'analisi dei temi più sentiti mostra che gli astenuti non sono disinteressati: hanno priorità molto concrete. Più di uno su due (54%) indica la sanità come problema principale, mentre la metà (50%) cita lavoro e salari. Seguono la riduzione delle tasse (39%), la sicurezza (26%), l'immigrazione (22%) e le pensioni (19%). Quando si chiede cosa potrebbe convincerli a tornare a votare, quasi la metà (49%) risponde che lo farebbe solo in presenza di un nuovo leader credibile. Un altro 23% dice che servirebbe un nuovo partito più vicino alle proprie idee, mentre per il 28% non c'è nulla che li farebbe tornare alle urne.
Emerge anche un altro dato interessante che delinea il profilo degli astenuti: il 46% dichiara di seguire la politica con continuità e un ulteriore 34% la segue "di tanto in tanto". Solo il 20% ammette di non interessarsene affatto.
Il problema, dunque, non è il disinteresse, ma la sfiducia verso un sistema percepito come chiuso: gli "astenuti" osservano, giudicano, ma non partecipano. Cercano nuove leadership (49%) ma al contempo non nuovi partiti. L'astensione non è disinteresse.