Sono i giorni del sangue palestinese e della grande paura israeliana. Settantun morti palestinesi in due giorni, 10 ieri, 61 soltanto sabato in quella che i giornali arabi già definiscono la giornata più luttuosa dalla fine della guerra del 1967. Ma se a Gaza si contano le fosse ad Ashkelon, città israeliana di 150mila abitanti affacciata sul Mediterraneo, si contano i colpi di katyusha. Ne sono arrivati tre anche ieri, hanno colpito in pieno una casa, hanno ferito una donna. Unaltra ventina di ordigni ha bersagliato Sderot e le altre località vicine alla Striscia.
Così, mentre Ashkelon diventa una metropoli in prima linea, il primo ministro israeliano si ritrova nella difficile posizione di accontentare la propria opinione pubblica e fronteggiare le accuse rivoltagli da una comunità internazionale impressionata dai fatti di Gaza. Per ora il premier non ha scelta. Di fronte ai missili di Hamas, di fronte allo spettro di unaltra pioggia di morte, simile a quella che nellestate del 2006 trasformò Haifa e tutto il nord nel bersaglio di Hezbollah, il premier può soltanto difendere loperato del suo esercito promettendo, se necessario, operazioni anche più dure. «Israele non ha alcuna intenzione di cessare, neanche per un momento, di combattere contro le organizzazioni terroristiche», dichiara Olmert durante lapertura della riunione settimanale del governo a Gerusalemme. «Nessuno ha il diritto morale di criticare Israele perché esercita il suo diritto allautodifesa», aggiunge rispondendo alle critiche dellUnione Europea e alla richiesta del Consiglio di Sicurezza dellOnu di metter fine alle operazioni militari.
Tanto per far capire che aria tira, il ministro della difesa Ehud Barak incontra il ministro della giustizia Daniel Friedmann per discutere con lui e con i massimi esperti legali del Paese la legittimità di eventuali raid aerei su insediamenti civili utilizzati per i lanci di missili Grad. La sottile linea rossa, secondo Barak, sarebbe già stata superata e implicitamente accettata durante la guerra ad Hezbollah dellestate del 2006 quando laviazione israeliana colpì le case dove il Partito di Dio nascondeva le piattaforme di lancio. Ora la necessità potrebbe ripresentarsi. Di certo leventuale riconquista della Striscia, considerata da Ehud Barak e dai generali di Tsahal lunico modo per neutralizzare gli arsenali fondamentalisti, richiederà un altissimo tributo di sangue. I combattimenti di sabato ne sono stati la prova generale. Quelle dodici ore di battaglie allinterno di Jabalya hanno dimostrato che Hamas è un vero esercito e applica al meglio le tattiche apprese da Hezbollah. Per riuscire a mantenere la superiorità tattica ed evitare perdite intollerabili Tsahal deve ricorrere a tutta la sua potenza di fuoco. Lo si è capito sabato mattina quando i fanti della Brigata Givati si sono ritrovati bersagliati dal fuoco dei cecchini e dai colpi di razzi anti carro usati in funzione anti uomo. Dopo luccisione di due militari e il ferimento di altri cinque i comandanti della Givati hanno temuto un rovescio simile a quelli sofferti nel sud del Libano nel luglio del 2006. Così quando Hamas ha approfittato dellevacuazione di morti e feriti per intensificare il fuoco laviazione israeliana ha raso al suolo le case utilizzate dai miliziani uccidendone tutti gli occupanti. Se la rioccupazione di Gaza scatterà veramente la situazione si ripeterà e questo non rassicura Ehud Olmert che già si rivede intrappolato in un altro conflitto senza via duscita.
La soluzione migliore per Israele in questo momento sarebbe quella di assestare un colpo decisivo alla leadership fondamentalista eliminando lex premier Ismail Haniyeh o Khaled Meshaal, il leader supremo in esilio a Damasco. Un colpo del genere, simulato ieri mattina radendo al suolo lufficio di Haniyeh a Gaza, soddisferebbe la voglia di rappresaglia dellopinione pubblica e consentirebbe a Olmert di rinviare la sofferta rioccupazione. Lassassinio eccellente reso assai difficile dalla sparizione dei leader fondamentalisti, non cancellerebbe però il problema dei missili. I katyusha, come faceva notare ieri il sindaco di Ashkelon, continuerebbero a bersagliare il sud del Paese trasformandosi «in drammatica realtà quotidiana». Così, mentre la situazione bellica si complica, trattative e negoziati di pace si trasformano in fantasmi del passato.
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