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Oltre al potere, niente. Le guerre sottoculturali di destra e sinistra

Assistiamo a occupazioni di poltrone, lamentele, allarmi e gelosie. Di vero dibattito non c'è traccia

Oltre al potere, niente. Le guerre sottoculturali di destra e sinistra

Se un marziano precipitasse a Roma e volesse farsi un'idea di cosa sia la politica culturale in Italia, rimarrebbe forse perplesso. Il visitatore alieno si aspetterebbe grandi discussioni sulla bellezza, l'arte, la letteratura. Invece si troverebbe subito coinvolto in una prassi, e in un linguaggio, che di culturale non hanno niente, né in senso proprio né in senso lato. Spoils system, poltrone, posti, occupazione, presidenze, direzioni, segretari, sottosegretari, assessori, cadreghe, estromissioni, cattedre, dimissioni, sovrintendenze, bocciature, promozioni, cancellature, scuse, provocazioni, organici, lottizzazione. Il marziano concluderebbe che la cultura, per noi, è una guerra per bande. Il potere è il premio per i vincitori, la lagna perpetua è la pena inflitta agli sconfitti.

Per carità: è ovvio, e perfino giusto, che il vincitore delle elezioni collochi i suoi uomini nelle posizioni-chiave. Altrimenti non si può fare nulla di concreto. Abbiamo già visto governi di centrodestra fallire in campo culturale, non solo per un sostanziale disinteresse alla pratica ma anche per l'impossibilità di scalfire la burocrazia. Detto questo, ogni tanto sarebbe gradevole aprire le finestre, fare un bel respiro, e parlare di qualcosa che non sia la pratica, spesso brutale, del potere. Diamo tempo al tempo: il governo Meloni si è appena insediato, vedremo, sulla lunga distanza, cosa sarà capace di fare in questo campo così importante.

Per il momento, osserviamo la reazione, non propriamente da uomini di cultura, degli intellettuali o sedicenti tali. Quelli di sinistra, quando non passano il tempo a frignare, lanciano allarmi sulla tenuta democratica del Paese e insinuano che il governo non voglia fare prigionieri. Si prenderà tutto, seguendo una logica autoritaria. Questa reazione è ipocrita e ridicola. Infatti i frignoni, fino a ieri, non hanno fatto prigionieri e si sono presi tutte le istituzioni culturali, nessuna esclusa. Adesso rinfacciano agli altri ciò che hanno fatto per decenni, causando un crollo verticale dell'autorevolezza della cultura italiana, sempre più autoreferenziale e impoverita. Il dibattito è l'acqua che fa crescere la pianta della cultura. Con la sinistra, la siccità si è fatta totale, il risultato è il deserto, basta entrare in una libreria per rendersene conto, gli scaffali delle novità dove si fatica a trovare qualcosa di originale, quelli dei classici dove ci sono lacune incredibili, mezzo Novecento, il migliore, dimenticato.

D'altronde non va meglio con gli intellettuali, o sedicenti tali, di destra, disposti a tutto pur di avere almeno una briciola del lauto pasto imbandito dai politici. Peggio dei camerieri. In questi mesi si è visto e sentito di tutto, gente che si «mette a disposizione» per qualunque cosa, mezza poltrona, un quarto di consulenza, almeno un posto da giurato; altra gente che aspetta la chiamata, convinta che arrivi, d'altronde prima che venisse incoronato Gennaro Sangiuliano erano in molti a dire, senza ritegno: «Se Giorgia governa, io sarò il ministro della Cultura»; altra gente ancora che si abbassa al servilismo più umiliante e corre in soccorso dei vincitori ogni volta che se ne presenti l'occasione. In generale, si sviluppano timori, odio, gelosie e invidie, più che pagine di saggi. Il tutto dopo aver giustamente stigmatizzato questi comportamenti quando ad assumerli erano i rivali di sinistra.

Si direbbe perdente l'idea che, per essere un intellettuale, si debbano avere una bibliografia o una visione delle cose o la capacità di divulgare o roba del genere. Quello che conta è mangiare, o almeno sbocconcellare, da una parte e dall'altra.

Peccato, di temi interessanti ce ne sarebbero. Per ora la maggioranza sembra concentrata su due obiettivi condivisibili ma insufficienti. Primo: conservare il patrimonio, che la storia ci lascia immeritatamente in eredità. L'espressione geografica nota come Italia ha una segreta memoria delle antiche autonomie, e forse potrebbe essere utile meno retorica sulla patria e più riflessione sulla varietà che ha fatto la grandezza di questa penisola. Secondo: la legittima «riscrittura» del Novecento. Viviamo in un Paese nel quale ancora si fatica ad ammettere che, per appartenere alla famiglia liberal-democratica, sia necessario essere antifascisti ma anche anticomunisti. La celeberrima egemonia culturale della sinistra ha prodotto danni incalcolabili, nascondendo o spingendo ai margini tutto ciò che non era rosso. Ci siamo così ridotti ad apprendere, fin dalle scuole, che il fascismo non aveva una cultura: c'è voluta una mostra di Germano Celant, qualche anno fa, alla Fondazione Prada di Milano, per rendere definitivamente comica questa tesi. Per non dire di come è stata raccontata la storia, con omissioni clamorose (le foibe, l'esodo, la dipendenza del Pci da Mosca) e verità parziali (i partigiani non erano solo comunisti; i partigiani hanno offerto una valorosa testimonianza ma l'Italia, dal punto di vista militare, è stata liberata dagli Alleati). Bene, dunque. Un riequilibrio è necessario, se non esce dal seminato per diventare revanscismo. Però se ci fermiamo a dirci «conservatori» ci perdiamo il meglio di quello che deve ancora venire. Mentre noi ci azzuffiamo su fascismo e antifascismo, e rimaniamo legati al XX secolo, il nuovo potere, quello dei colossi digitali, affronta i temi fondamentali del XXI secolo: le intelligenze artificiali, la fusione trans-umana con le macchine, addirittura l'immortalità. Ci sono fenomeni contemporanei tutti da indagare: cos'è Facebook? Un impero sovranazionale? Cosa sono le monete digitali? Dove finiscono i dati che diffondiamo in Rete? Chi ci guadagna? È così remota una società della sorveglianza digitale? Per dare risposta a queste domande, ci sarebbe bisogno di dare un'occhiata anche nelle case di culture stabilmente in secondo piano: quella cattolica, senza la quale è impossibile affrontare una seria riflessione sui problemi etici; quella liberale, senza la quale è impossibile affrontare una seria riflessione sulla libertà e sull'economia. Ma queste due culture, in Italia, sono sempre state isolate da statalismo e statolatria di sinistra.

Ma anche di destra.

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