Cultura e Spettacoli

Omar Pedrini, 20 anni di carriera nella "Capanna dello zio rock"

Il cantante pubblica un cd con due inediti fra cui "Il figlio del vento", scelto per la colonna sonora dell’ultimo film di Pupi Avati

Omar Pedrini, 20 anni di carriera nella "Capanna dello zio rock"

Rocchetta Tanaro (AT) - E a un certo punto si siede e inizia a suonare Harvest di Neil Young con la chitarra acustica. Omar Pedrini è a pochi metri dalle botti di vino dei fratelli Beppe e Raffaella Bologna, quelli che qui a Rocchetta Tanaro hanno portato avanti l’eredità del padre Giacomo, il pioniere ha portato la Barbera all’onore del mondo con il marchio Braida, ormai conosciuto dappertutto anche grazie a vini decisivi come il Bricco dell’Uccellone e Ai Suma. Lui presenta il suo nuovo cd La capanna dello zio rock, che è una piccola gemma di rock italiano ed è il primo che entra in enoteca perché sarà in vendita nelle principali enoteche italiane con il magnum di Montebruna, una Barbera d’Asti vigorosa che sull’etichetta porta anche una sua poesia. Qualche anno fa la scrisse anche Bruno Lauzi, un altro pioniere che sposò con estro e autorevolezza il connubio tra vino e musica. «Non mi ha mai interessato la quantità, io ho sempre pensato alla qualità» dice Pedrini, uno dei pochi rockettari italiani capace di restare fedele alla sua ispirazione.

In La capanna dello zio rock ha mescolato tanti brani della sua carriera più due inediti (Zio rock e Il figlio del vento) e il risultato è che sembra un album nuovo: tutte le canzoni sono omogenee, quelle nate vent’anni fa e quelle appena nate hanno la stessa matrice, il rock chitarristico e genuino, decisamente bello e clamorosamente ispirato, un disco che chiunque dovrebbe ascoltare per comprendere fino a che punto il rock è stato capace di diventare italiano.

D’altronde Omar Pedrini era il leader dei Timoria, gruppo che insieme ai Litfiba riuscì a tradurre nella nostra lingua il dizionario del rock e incontrò un successo che fece riflettere molti discografici: «Dopo noi, molti misero sotto contratto tanti gruppi che magari neanche valeva la pena prendere in considerazione», spiega lui, accompagnato da un padre anche lui molto rock, un signore pacato e intraprendente che dalla sua Brescia si è trasferito in Toscana e ora produce, tra l’altro, un eccezionale olio d’oliva con lo stesso frantoio utilizzato nel Duecento da San Francesco. Dopo la separazione da Francesco Renga, che Pedrini definisce «lancinante», i Timoria hanno continuato per qualche anno e qui, nelle cantine di Giacomo Bologna, lui suona una versione de Il sole spento che impone i brividi a tutti. Poi Pedrini ha inciso qualche album da solista e ha fatto alcuni programmi tv. Ma è rimasto quello che era: un grande compositore.

Insomma, La capanna dello zio rock è un piccolo riassunto di rock che raccoglie brani pompatissimi dalle radio come Shock ma anche gioielli come Lulù, che finì nella colonna sonora del film Un Aldo qualunque con Fabio De Luigi e fu smaltita senza troppo clamore. Invece è molto bella, così intima e così intensa, ed è in qualche modo l’apripista di Il figlio del vento che Pupi Avati ha voluto nel suo film Il figlio più piccolo, pronto a uscire in dvd.

«Pupi è straordinario» dice Omar Pedrini chinandosi di nuovo sulla sua chitarra acustica e iniziando a suonare con quell’intensità genuina che fa di lui uno dei pochi musicisti italiani davvero capaci di rimanere puri alla faccia di tutto.

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