Omicidio a Perugia, il processo è una beffa: sul reggiseno di Mez c’è pure il Dna del perito

E' giallo sulla studentessa inglese uccisa nel 2007. In aula è battaglia sulla prova regina indebolita La polizia scientifica si difende: test validi sui reperti. Amanda è tesa, Lele sorridente: la guarda e le strizza l'occhio

Omicidio a Perugia, il processo è una beffa:  
sul reggiseno di Mez c’è pure il Dna del perito

Le sorride, strizza l’occhio, sembra quasi felice. IN Quattro anni di carcere si è fatto uomo. Non solo nel fisico. Zazzera corta, modi composti, adesso somiglia a un naufrago che vede il porto.
Amanda è una foto in negativo. Non sorride più, la sfrontatezza di un tempo è spenta, gli occhi birichini si perdono in uno guardo spaurito. I movimenti lenti, l’angoscia dipinta in una smorfia.
Sa che si sta giocando la partita più importante. Decisiva. Quelle prove contro lei e Raffaele sono valide? Quei frammenti di Dna che raccontano come con il suo fidanzato e il compagnone di spinelli Rudy, avrebbero ucciso la povera Mereditih, sono davvero l’impianto di un’accusa che perde pezzi?
In aula, a Perugia, davanti alla corte d’Assise d’appello, si accende l’ennesimo scontro. Battaglia tra periti, tra matematici della scientifica, di impronte e reperti. L’accusa, rappresentata dai pm Giuliano Mignini e Manuela Comodi, con le relazioni della polizia che esaminò per giorni la casa di via della Pergola, il cadavere di Mez, ciò che indossava mentre veniva sgozzata, stavolta deve difendersi. Dimostrare che non ha sbagliato.
La difesa gioca i sui «assi». Che arrivano dai periti superpartes nominati dalla Corte. Il punto è sempre lo stesso. Si discute ancora sulla quantità minima di Dna per un’identificazione certa su reperti chiave come il coltello - presunta arma del delitto - e il gancetto del reggiseno della vittima. La dottoressa Carla Vecchiotti, davanti ai giudici lo ribadisce: i profili genetici esaminati in prima istanza, che hanno poi portato alla condanna di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, non sono scientificamente accertabili a causa della scarsità di materiale biologico individuato. Per quanto riguarda i residui rinvenuti sul reggiseno di Meredith, in cui la scientifica isolò il profilo di Sollecito, una traccia mista, il dna presente in maggiore quantità appartiene proprio alla vitima. Ce ne sono poi molti altri, uno dei quali corrisponde a Sollecito, «ma - evidenzia la dottoressa - abbiamo trovato altre tracce che non sono state indicate nella relazione tecnica della polizia».
Si arriva al parossismo. Dal gancetto del reggiseno si è ricavato persino il Dna di uno dei periti. Ci sono anche io», ha spiegato la Vecchiotti rispondendo a una domanda della difesa di Raffaele Sollecito. Sa tanto di autogol. Possibile una simile approssimazione?
Dall’altra parte siede la biologa della polizia Patrizia Stefanoni. Lei difende il lavoro degli investigatori. Ribadisce che «la contaminazione non è qualcosa di astratto», e che «nei laboratori della scientifica tutti i profili degli operatori sono schedati». Puntualizzando che nei referti «normalmente non viene specificato che gli operatori usano i guanti e puliscono il tavolo di lavoro dopo ogni esame». Insomma esclude categoricamente qualsiasi contaminazione dei reperti.

Infine precisa: «Ogni operatore che opera all’interno dei laboratori della Scientifica è regolarmente schedato e una eventuale contaminazione, sia da parte di una persona, sia da campione a campione, viene verificata con regolarità».
Alla fine, veramente dimenticata resta lei, Mez. Fantasma, senza giustizia.

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