Onorevoli e furbetti: tagli ancora rinviati

Roma Il governo abbassa le armi. E dopo le polemiche per la minaccia all’autonomia del Parlamento, presenta un emendamento che affida a Camera e Senato il compito di adeguare i compensi alla media europea. Come dire che neppure Mario Monti riesce a mettere mano agli stipendi della casta ed è costretto a rinunciare al blitz, dal forte impatto mediatico, messo in campo con la manovra.
La palla, a questo punto, torna al Parlamento. La manovra inizialmente assegnava al governo il compito di intervenire con un decreto qualora la commissione guidata dal presidente Istat, Enrico Giovannini, non avesse concluso entro il 31 dicembre lo studio comparato degli stipendi dei nostri parlamentari con quelli del resto d’Europa. Ora, invece, nell’emendamento è scritto: «Il parlamento e il governo ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni, assumono immediate iniziative idonee a conseguire gli obiettivi» di risparmio. In ogni caso il taglio degli stipendi dei parlamentari ci sarà e avverrà nel gennaio 2012. Almeno questa è la rassicurazione che arriva da Renato Schifani. «Entro il mese di gennaio studieremo un sistema di adeguamento delle indennità parlamentari. Lo faremo con equità e responsabilità». Così come non è escluso che l’ufficio di presidenza - che si riunirà oggi per deliberare il via libera definitivo degli uffici di presidenza di Camera e Senato all’abrogazione dei vitalizi - possa iniziare a discutere dell’argomento.
Deputati e senatori, abituati a dichiarare per intercettare il consenso, questa volta sbandano e vanno un po’ in confusione. Antonio Di Pietro attacca i parlamentari, «i signori Pinocchio: la verità è che non volete tagliarvi le indennità». Paola Concia del Pd chiede a Fini e Schifani: «Perché questa tarantella? Avrebbero dovuto chiamare il ministro Grilli e fare il loro dovere». Italo Bocchino prova a ribaltare il tavolo e «sulla frenata ai tagli agli stipendi» chiede «più coraggio al governo e alla maggioranza che lo sostiene», sbagliando evidentemente il bersaglio. Insomma, il panorama appare nebuloso. Così come è tutt’altro che fugato il rischio che l’adeguamento si traduca in una limatura di qualche centinaia di euro. Lo stipendio dei parlamentari italiani è pari a 5.677 euro netti. Una cifra in linea con quella dei Paesi presi in esame per la parametrazione. Solo che i colleghi europei non possono godere dei circa 10mila euro mensili percepiti come rimborso spese.

Gianfranco Fini vorrebbe eliminare una voce di quelle pesanti: i 3690 euro per le «spese di rapporto fra eletto ed elettori», soldi destinati al pagamento degli assistenti parlamentari che quasi sempre restano del tutto o in parte nelle tasche degli eletti. Il presidente della Camera vorrebbe fosse l’istituzione a erogarli ai collaboratori. Un cambiamento pesante che, c’è da scommetterci, incontrerà fortissime resistenze tra le mura di Montecitorio.

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