Gli onorevoli-scrittori fanno flop in libreria

I politici invadono gli scaffali coi loro testi, volumi imponenti che ripetono messaggi ascoltati mille volte. Ambizioni smisurate: Fini vuol riscrivere la destra, Veltroni la sinistra, D’Alema sogna un mondo nuovo. Le vendite? Scarse. Difatti le tengono segrete

La politica, attraverso le parole, dovrebbe costruire fatti. Ma ormai si è abituata a dimenticare dietro di sé i fatti, lasciandoci solo le parole. Fiumi di parole. Pagine di parole. Biblioteche di parole. Parole chiave, slogan, proclami, manifesti, titoli. Titoli di libri, soprattutto.
Noi, per Il patto che ci lega, Ad ogni costo vogliamo Un mondo nuovo. Questa è La Svolta: in ballo c’è Il futuro della libertà. Se ci credi, In 10 parole si può Costruire una cattedrale. E per il resto, Devi augurarti che la strada sia lunga, perché Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti). Tutti insieme: Giustizia e Potere!
Scorrendo i titoli dei libri dei nostri politici - che sono moltissimi, anche limitandosi a quelli usciti nell’ultimo anno - è facile provare una fastidiosa sensazione di déjà vu. Volumi imponenti per temi, per firma e per ambizione che ripetono messaggi già captati tante volte, progetti già spiegati nei soliti talk show, storie già raccontate in mille interviste. Sfogliando il vuoto.
Scritti e pensati come fossero il loro album di famiglia, i libri dei politici sono il catalogo Esselunga delle idee disponibili nel Paese. Diviso per reparti, ci trovi tutto: il sogno di un destra diversa, l’impegno per una sinistra differente, la promessa di una nuova Italia, la scommessa per un futuro luminoso, il progetto per un mondo migliore. Con una fornita sezione dedicata ai più piccoli (L’Occidente spiegato a mio figlio oppure Consigli non richiesti ai nati nel 1989...), ottimi spunti per regali di compleanno, promozioni estive, persino l’opzione carta Fìdaty per chi volesse la collezione completa.
Antonio Di Pietro da un mese sta portando in giro per l’Italia il suo nuovo Ad ogni costo (Ponte alle Grazie) nel quale in duecento pagine ri-racconta, come promette il sottotitolo, «Battaglie e proposte per un’altra Italia», cioè le questioni politiche più recenti (le intercettazioni, la Rai, l’amnistia fiscale, la privatizzazione dell’acqua, quella della giustizia, il giudice Mills, Dell’Utri...). La quarta di copertina recita: «Accusato di giustizialismo, di disfattismo, di mancanza di concretezza politica, chiunque abbia provato a far tacere Antonio Di Pietro ha tuttavia dovuto arrendersi e dargli ragione» (sic!). Riuscendo a far coincidere le pubbliche presentazioni con le tappe della campagna elettorale e referendaria, Di Pietro alterna sale-convegni strapiene a piazze semi-deserte. Lui continua a parlare comunque. Ad ogni costo.
Gianfranco Fini, uno del quale i nemici dicono abbia scritto più libri di quelli che ha letto, e che quello che ha scritto gliel’ha dettato il portavoce Aldo Di Lello, ha da qualche mese illustrato ai suoi e-lettori Il futuro della libertà (Rizzoli), dove con un piglio intellettuale finora sconosciuto affronta le grandi sfide della politica: dalla questione sociale all’immigrazione, dalla coesione nazionale all’Unione europea fino alla necessità di mettere di nuovo la persona al centro dei processi economici e politici. E lo fa rivolgendosi ai «nati nel 1989», presumibilmente «la prima generazione di italiani ed europei ad aver vissuto davvero in un’epoca di libertà, democrazia e possibilità». Ma - aggiungiamo noi - anche l’unica che non può ricordarsi di quando l’attuale presidente della Camera proclamava (ad esempio su Il Secolo d'Italia, 4 aprile 1992) che «La società multirazziale verso cui taluni anelano è un ibrido meticciato che scatena solo guerre tra poveri nel nostro Paese». Peccato che in Rizzoli abbiano la consegna del silenzio, per cui non è possibile sapere quanto ha venduto il libro di Fini, né in quante copie è stato stampato. Taci, il nemico ti ascolta.
L’ex nemico di Gianfranco Fini e oggi suo compagno di convegni e presentazioni, il prolifico Walter Veltroni, ha ancora in caldo il romanzo Noi (pubblicato dalla bipartisan Rizzoli, che continua a tacere sulle cifre), uscito l’estate scorsa e che ha già fatto a tempo a essere candidato e contemporaneamente bruciato allo Strega di quest’anno. È un romanzo che narra quattro stagioni cruciali della nostra storia attraverso quattro generazioni di italiani, tra passato (il 1943) e futuro (il 2025), quando forse sarà premier Veltroni. Come reciterebbe in casi simili una recensione: «Un grande affresco sulla memoria dell’Italia nella speranza che il Paese ritrovi una visione positiva, solidale e aperta al futuro». Un libro che ce la può fare.
Massimo D’Alema invece, notoriamente molto più ambizioso dell’ex amico Walter, non sogna un’Italia nuova, ma addirittura Il mondo nuovo (Solaris), come ha scelto di intitolare il suo nuovo libro che raccoglie gli interventi più significativi degli ultimi anni: da una profonda riflessione sul mondo nuovo, sul posto che vi avranno l’Europa e l’Italia, sulle ragioni della crisi del capitalismo globale selvaggio, D’Alema propone di partire per individuare l’orizzonte strategico e i valori costitutivi del Partito democratico. Con il consueto aplomb, D’Alema ha impiegato quasi 300 pagine per dire le stesse cose che Dario Franceschini sintetizza In 10 parole (Bompiani), ossia un libro-manifesto «per traghettare l’Italia oltre l’era berlusconiana affrontando le sfide del cambiamento senza paura». Facile, no?
Tanta saggistica, un po’ di memorie, qualche romanzo, pochissime idee. I politici affrontano sempre sfide decisive, sempre con coraggio, sempre sventolando valori irrinunciabili, sempre proponendo una battaglia delle idee, sempre scommettendo su un rinnovamento della mentalità. Però scrivono (o si fanno scrivere, mobilitando un esercito impressionante di «negri» e ghostwriter) sempre le medesime cose.
Sfornati ad uso e consumo del proprio Ego, a favore dei clientes elettorali, e strumentali a veicolare un’immagine «intellettuale» dell’autore, i libri dei politici piacciono pochissimo. Le copie vendute in libreria rappresentano una percentuale infima dei voti raccolti nell’urna. Come ha scritto tempo fa Italia oggi a proposito delle copie vendute dal volume di Giorgio Napolitano Il patto che ci lega (Il Mulino), «è meglio sorvolare». Per carità di patria.
E Luigi De Magistris, col suo Giustizia e potere (Editori Riuniti)? Difficile pensare che più di uno su cento dei suoi elettori alle ultime Europee possa aver speso 15 euro per una copia del libro. E 416mila voti diviso cento fa 4.160 copie. Pochine.
Visto che gli uffici stampa e gli uffici vendita delle case editrici non sono disposti a violare il segreto di Stato sulle (s)fortune dei loro autori-politici (è più facile sapere quanto venda il Papa che Fini), ci chiediamo quanto possa valere in termini di copie l’ultimo libro di Fausto Bertinotti Devi augurarti che la strada sia lunga (Ponte alle Grazie) - «non un’autobiografia ma il racconto di una vera e propria educazione sentimentale e intellettuale» - o quello di Marco Pannella Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti) (Bompiani) - «un libro di riferimento per chi voglia capire una personalità che ha marcato per sessant’anni la politica italiana» - o quello di Enrico Letta Costruire una cattedrale. Perché l’Italia deve tornare a pensare in grande (Mondadori) - «un libro per pensare seriamente al futuro» - o quello di Francesco Rutelli La svolta. Lettera a un partito mai nato (Marsilio) - «un libro che è un appello, l’apertura di una battaglia delle idee» - o quello di Luca Zaia Adottare la terra (per non morire di fame) (Mondadori), «un libro che segna un cambiamento di mentalità»... Da questo punto di vista l’esperienza professionale insegna che gli editori sono i primi a telefonarti se il libro è un best-seller, e gli ultimi a parlare se è un mezzo flop. Ovviamente, esclusi i citati.


Intanto, a dimostrazione che la politica non è solo parole ma anche sentimento, fra tre giorni uscirà il nuovo libro di Walter Veltroni Quando cade l’acrobata, entrano i clown, un monologo interiore (!) sulla tragedia dell’Heysel attraverso lo sguardo commovente di una storia d’amore tra due ragazzi morti dentro lo stadio maledetto. Se ne parla già come del Finnegans Wake del centrosinistra. Per fortuna anche la politica ci insegna che L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio.
A pensarci bene, un titolo perfetto per un libro.

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