Genova - Già passi la domenica a far la guardia al bidone, anzi al carbone visto che la centrale non va a petrolio, figurati se ti vedi quattro incappucciati che si arrampicano sulla tua parete di vetro e ti ci scrivono che sei un assassino del clima, quindi dell’umanità. Per di più, operai e tecnici della centrale Enel di Genova non credono che basti scimmiottare l’uomo ragno per avere ragione, ma che sia sufficiente per dimostrare di non avere problemi ad arrivare alla fine del mese. E allora si prendono una pausa, vanno sul tetto e si armano di striscioni per rispondere agli incursori di Greenpeace con il linguaggio che capiscono meglio. Il primo messaggio si srotola forte e chiaro: «Andate a lavorare». Le misure sono perfette, i calcoli dei tiranti sembrano firmati da un ingegnere, e infatti lo striscione artigianale vergato con spray blu arriva a coprire le ultime lettere dello slogan appena tracciato dagli ambientalisti: «Clima killer».
L’effetto-sorpresa non riesce sui diretti interessati, già alle prese con capitaneria, polmare e polizia. Ma prende in contropiede chi era pronto a parlare del nuovo successo di Greenpeace. Perché dopo il pareggio, gli operai non si fermano. E buttano giù altri due striscioni. «Quit Greenpeace» (piantatela) e «Basta ecoballe». Le accuse degli ecoestremisti sono completamente coperte. Di più, surclassate. E mettono in secondo piano anche tutto il resto del blitz, preparato con cura nei mesi scorsi.
Greenpeace aveva già colpito a Civitavecchia il 16 ottobre e a Fiume Santo in Sardegna il 19. Quando la sua nave «Artic Sunrise» nei giorni scorsi aveva attraccato al Porto Antico di Genova era inevitabile aspettarsi qualcosa di clamoroso. E così è stato. Il colpo a sorpresa è la triplice incursione contemporanea, una novità in grado di fungere anche da diversivo, per disorientare le contromosse. A fine mattinata, non come al solito all’alba, un gommone parte a tutta velocità (e a tutta benzina bruciata, perché il fuoribordo non va certo a profumo di ciclamino) e si accosta a una nave che trasporta carbone. «Enel quit coal», basta carbone, scrivono i «corsari». Intanto i loro compagni specializzati in arrampicate, scalano la Lanterna, il simbolo di Genova, e lasciano un messaggio che campeggia giusto in faccia alla struttura che produce energia elettrica: «Enel chiudi la centrale».
Scattano i flash dei fotografi, si profila l’ennesimo dibattito sul blitz, quando un terzo commando si intrufola al di là delle recinzioni Enel e lascia la «firma» sulla facciata dell’impianto. Non aveva però fatto i conti con la reazione di chi in quella centrale ci lavora, ci si guadagna il pane. Di chi non è più disposto a tollerare il linciaggio da parte degli ambientalisti. La replica immediata è fatta con striscioni che invitano gli ecologisti a smetterla con le bischerate e ad andare a faticare. Poi, quando i leader di Greenpeace danno voce ai loro comunicati contro la produzione di energia con l’uso del carbone, gli operai dimostrano di non essere disposti a farsi sorprendere anche a parole.
«Rivendichiamo il diritto al lavoro per questa nostra centrale che tanto ha contribuito allo sviluppo della nostra città. Oggi, con tutti gli adeguamenti ambientali fatti, opera nel pieno rispetto delle severe normative europee in materia di emissioni», dichiara il capo sezione esercizio della centrale Gino Bertazzoni parlando a nome dei colleghi.
Replica ineccepibile, che potrebbe persino maramaldeggiare sugli attivisti respinti a suon di striscioni, se i lavoratori Enel facessero presente come la concessione della centrale a carbone di Genova scada nel 2020, come siano stati già firmati protocolli d’intesa con la Regione per la realizzazione di impianti fotovoltaici da 1 megawatt (e da 5 milioni di euro), e altri impianti eolici sulla diga foranea di Genova. In altre parole, se gli operai dell’Enel avessero voluto dimostrare agli aspiranti uomini ragno che, se non proprio a lavorare, avrebbero fatto meglio almeno ad andare a protestare davanti a qualche altra centrale.
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